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 2025  dicembre 04 Giovedì calendario

Tacconi: “A Tokyo non potevo perdere avevo due segreti”

Stefano Tacconi dice che ci si abitua a tutto, «persino alle sigarette elettroniche», ma non al tempo che passa. Lunedì saranno 40 anni dalla vittoria in Coppa Intercontinentale: Tokyo, 8 dicembre 1985, Juventus-Argentinos Juniors 4-2 ai rigori, con Tacconi che ne para un paio. Una vita, e lui ne ha già vissute almeno quattro: calciatore, ex calciatore, malato, rinato. «E mi sono divertito da matti perché io sono, appunto, un matto».
Stefano, come sta? «Meglio, ormai siamo arrivati a due sole sedute di fisioterapia a settimana. Dell’ictus e del coma non ricordo quasi niente, ho vinto un’altra partita ai rigori o almeno spero. Prossimo obiettivo: fare a meno del bastone. Mi ha preso in giro anche Platini».
Nel senso? «Qualche giorno fa ci siamo ritrovati alla Continassa, noi bianconeri dell’85, per una foto davanti al monumento ai caduti dell’Heysel. Quando Michel ha visto arrivare me, Cabrini e Brio, tutti col bastone perché Antonio e Sergio si sono appena fatti operare alle ginocchia, ha detto: “Ragazzi, che squadra di m..., ma come abbiamo fatto a vincere tutto con questi qua?”».
Già, come avete fatto? «Eravamo i più forti in un calcio pieno di umanità. Ed eravamo affamati di una fame feroce. Un calciatore ventenne di allora non aveva un milione in banca e le cuffie sempre in testa. Oggi, baciano la maglia e hanno già firmato per un’altra squadra».
Ci dica di Tokyo. «Eravamo stressatissimi, anch’io non ne potevo più, così due giorni prima della partita andai a cercarmi compagnia e ne rimasi parecchio soddisfatto. In campo, alla fine ero il più rilassato».
Platini segnò il più bel gol annullato della storia del calcio. «Era regolare, ma che l’arbitro abbia fischiato è stata la mia fortuna: altrimenti non sarei mai diventato l’eroe della finalissima».
Con quei due rigori respinti. «Ero sicurissimo di pararli. Il vice del Trap, che si chiamava Romolo Bizzotto, mi aveva dato la cassetta della finale di Libertadores decisa ai rigori: studiai tutti i tiri di quelli dell’Argentinos Juniors, non potevano fregarmi».
A proposito di argentini: il più grande di tutti, poco più di un mese prima le aveva infilato il più incredibile calcio di punizione che mente umana ricordi: 3 novembre 1985, punizione in seconda di Maradona a decidere Napoli-Juve. «Fu un onore prendere un gol del genere da Diego: dopo quattro decenni se ne parla ancora, siamo diventati immortali insieme. Quel giorno inventò l’impossibile. Lui mi stimava perché avevo il coraggio di parlar male di lui. “Tu tieni le palle”, mi diceva».
Eravate amici? «In un certo senso, sì. Durante la finale di Supercoppa del 1990, 5-1 per loro, andai da Diego e gli urlai di tutto. “State stravincendo, adesso basta, guarda che rischi la gamba!”. Mi rispose con un sorriso. Io lo minacciavo e lui rideva».
È morto malissimo, e ormai sono cinque anni. «Lo hanno lasciato crepare solo come un cane. Se n’è andato senza amore, anche se un po’ ci ha messo del suo. Invece, quando sono stato male io, tutti i miei cari mi sono rimasti vicini».
A Tokyo vinceste 6 mesi e 9 giorni dopo l’Heysel. «La ferita non guarirà mai».
Dopo l’ultimo rigore di Platini, catasta umana. «Il primo a saltarmi addosso fu Bonini, poi Favero con cui sono amicissimo dai tempi dell’Avellino. Idem Vignola: sono i due ex compagni che sento più spesso».
Avellino: lei era appena arrivato e ci fu il terremoto in Irpinia. «Ero lì da poche settimane e vivemmo il finimondo. I calciatori di allora stavano dentro la vita, oggi sono circondati da bodyguard, lontanissimi da tutto».
Non ci dirà che il calcio non le piace più, che vuoi mettere una volta, eccetera. «Una noia mortale: quest’anno mi sono divertito solo con Juve-Inter, ero pure allo stadio».
Tacconi, dal calcio ha avuto quello che era giusto? «No, dalla Nazionale meritavo di più. Io ho vinto tutto, invece Zenga proprio poco. Ma le polemiche erano un trucco. Ci dicevamo: “Ehi, da una settimana non si parla di noi, inventiamoci qualcosa”. E i cronisti abboccavano».
Cosa le manca davvero? «Salire sul pullman per lo stadio, l’adrenalina di quei momenti. E poi un bicchiere di vino e una sigaretta come si deve».
La Juve ritornerà? «Sì, ma serve pazienza, lo dico ai tifosi di cui ovviamente sono il primo. La trasferta di Napoli è molto importante, però Spalletti è bravo: quando lo abbiamo incontrato insieme alla squadra, l’altro giorno, ha guardato i ragazzi e ha detto: “Se riuscirete a dare il 5 per cento di questi signori qui, io sono a posto”».