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 2025  dicembre 04 Giovedì calendario

Armi, la sfida di Salvini: il voto non è scontato. Mes, scontro con Tajani

È alla Camera per rispondere a un question time sul Ponte sullo stretto. Ma è sempre l’Ucraina in cima ai suoi pensieri. Al termine di un pomeriggio a Montecitorio, dunque, Matteo Salvini si sbilancia. E con Repubblica lascia di nuovo intendere che la Lega potrebbe non sostenere il decreto per la fornitura di armi a Kiev. Lo stesso che Giorgia Meloni invece ha annunciato durante la sua visita nel Golfo. «Come voteremo? Ne parliamo tra venti giorni. Dipenderà dal contesto, per esempio dallo sviluppo delle inchieste di corruzione. E soprattutto dal negoziato portato avanti da Trump».
Non rassicura Palazzo Chigi, né ha intenzione di farlo. Perché stavolta davvero la Lega intende tenere sulla corda Meloni. Quando parla infatti di una scelta da prendere entro venti giorni, intende rimandare il problema all’ultimo consiglio dei ministri dell’anno, presumibilmente quello del 23 dicembre. A quel punto, alla scadenza della copertura legale per l’invio di armi a Kiev mancheranno soltanto otto giorni, visto che il dl attualmente in vigore – e appunto da prorogare – scade il 31 dicembre 2025. Significa, in altri termini, non esclude lo strappo. Che poi il vicepremier vada fino in fondo, è un’altra storia: senza l’ok al provvedimento più delicato della politica estera della destra di governo, l’esecutivo potrebbe addirittura dover affrontare una crisi. Scenari al momento neanche all’orizzonte, semmai indizi di una strategia di lento logoramento. Come dimostrano gli attacchi multipli portati avanti dal Carroccio nelle ultime ore.
La linea, al mattino, viene definita dal capogruppo al Senato Massimiliano Romeo. Gli chiedono del decreto, quando ancora la presidente del Consiglio non si è esposta. Una semplice proroga – risponde – rischia di non essere allineata al percorso negoziale. Visto che il decreto aiuti Ucraina è stato posticipato in Consiglio dei ministri, suggerirei a questo punto di attendere l’evoluzione delle trattative in corso condotte da Rubio e del piano di pace statunitense, così da poter definire un provvedimento pienamente coerente con il percorso diplomatico intrapreso».
Passano pochi minuti e tocca a Salvini lanciare altri segnali. «Non tra anni, ma tra mesi spero di poter tornare a volare su Kiev e su Mosca direttamente da Roma e da Milano. Oggi può sembrare un pio desiderio, ma se puoi sognarlo, puoi farlo. Chi ha responsabilità deve impegnarsi e trarre la lezione dalle parole del Santo Padre: riavviciniamo, costruiamo ponti. E che i cieli uniscano». E ancora, in un crescendo: «A leggere i giornali sembra che qualcuno abbia voglia di fare nuove guerre. Io invece no. L’Italia non ha interesse a dichiarare guerra a nessuno». Semmai, l’obiettivo è riaprire con Mosca «i commerci e il dialogo».
Fin qui, la battaglia attorno al decreto per le armi all’Ucraina. Ma c’è un altro fronte che sembra destinato a far scontrare gli alleati: il Mes. La Commissione europea ragiona anche dell’ipotesi che sia il Salva Stati a garantire i Paesi europei dai rischi che potrebbero derivare dall’utilizzo degli asset russi congelati. Ne parla Antonio Tajani, ieri a Bruxelles e da sempre informato delle iniziative del vertice comunitario: tra le opzioni, si sbilancia, c’è anche «l’utilizzo del Mes». «Non servono riforme – aggiunge, dettagliando questa possibilità – bastano modifiche dei regolamenti. Il Salva Stati c’è già. E i soldi pure». La reazione leghista è immediata, affidata al responsabile economico del partito Alberto Bagnai: «È uno strumento obsoleto. Riteniamo che il fondo vada liquidato: ieri il Mes “sanitario”, oggi il Mes “bellico” o “postbellico”, domani magari il Mes “climatico” o “energetico”. Per la Lega, è illogico pensare di ricorrere a questo meccanismo per garantire prestiti legati agli asset russi congelati». E pure Andrea Crippa picchia duro: «Mes come garanzia sul prestito all’Ucraina con gli asset russi? Neanche per sogno».
In realtà, l’utilizzo del Salva Stati è soltanto una delle soluzioni allo studio. L’Italia, dal punto di vista economico, avrebbe molto da guadagnare da questa soluzione. E a Palazzo Chigi c’è piena consapevolezza di questo. Politicamente, però, Giorgia Meloni dovrebbe gestire uno scontro con la Lega. Resta comunque il problema, ineludibile: come farà Roma a garantire il 12% dei 140 miliardi di asset russi scongelati? Ed è per questo che la premier, nonostante i dubbi, non chiude del tutto a questa opzione.