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 2025  dicembre 04 Giovedì calendario

In Ucraina come nel gioco dell’oca

I punti dell’accordo di pace in Ucraina, se mai sarà firmato, potranno essere 28, secondo Trump, 19 secondo i leader europei, o forse solo 10 nelle aspettative degli ucraini o 40 nelle pretese dei russi, ma c’è un dato non numerico, bensì sostanziale, che sfugge alla maggioranza degli osservatori e dell’opinione pubblica. Ossia che dopo oltre mille giorni di guerra, un milione di morti e feriti, milioni di profughi, un Paese (l’Ucraina) devastato dai bombardamenti e un Paese (la Russia) fiaccato dalle sanzioni e dall’economia di guerra, si torna in sostanza al punto di partenza: l’autonomia del Donbass, la sicurezza dell’Ucraina.
Un tragico e insensato gioco dell’oca, con una differenza sostanziale. La guerra è soltanto servita a rovesciare la materia del contendere in peggio per gli ucraini, convinti di potere tenere testa alla Russia, fino alla vittoria, grazie alle armi americane e a un ondivago sostegno degli europei. Un inganno morale e ideologico con cui prima o poi bisognerà fare i conti. Tutte le previsioni azzardate da analisti e commentatori del conflitto, cominciato non nel 2022 ma almeno dieci anni prima, si sono rivelate sbagliate: la Russia vincerà in una settimana, l’Ucraina, riarmata, sta vincendo, le sanzioni prosciugheranno la Russia. Addirittura il feticcio della vittoria ucraina, sbandierato in ogni vertice europeo, avrebbe dovuto garantire il crollo del regime russo, l’arresto di Putin per crimini di guerra, l’ingresso di Kiev nella UE e nella Nato, la Russia ridotta a paria internazionale. La verità è una guerra di logoramento, uno strazio senza fine, con la differenza che la Russia avanza e l’Ucraina è allo stremo. La beffa finale sarebbero la riammissione della Russia e la presenza di Putin al G8. Un Putin di fatto assolto!
Basterebbe tornare con la memoria agli accordi di Minsk del 2014 e del 2015, firmati con la mediazione di Germania e Francia e la supervisione dell’OCSE, che avrebbero dovuto garantire la smilitarizzazione e la sostanziale autonomia del Donbass, senza compromettere la sicurezza e il quadro politico dell’Ucraina, che già allora si era aperta la strada dell’Europa, peraltro in condizioni economiche e strutturali migliori di oggi. Gli storici racconteranno nei dettagli il livello di responsabilità degli ucraini nel boicottaggio di quegli accordi e l’interesse di Mosca nel tenere alta la tensione per far maturare condizioni a proprio vantaggio. Così come la Storia giudicherà la decisione di invadere un Paese sovrano. Palese violazione del diritto internazionale, secondo gli ucraini e gran parte del mondo. Mossa preventiva, secondo i russi, per scongiurare un avvicinamento della Nato ai propri confini. Non lo dice soltanto la propaganda del Cremlino. «La graduale espansione verso Est della NATO ha suscitato un senso di indignazione molto reale tra i russi, compresi i critici di Putin. La gente teme che l’Ucraina diventi una base per le truppe e i missili occidentali», ha scritto nei giorni scorsi un analista del New York Times.
La Storia ci dice anche che la pace si fa fra nemici e che il contendente più debole è costretto alla resa o almeno a subire un compromesso sfavorevole. Che cosa significa una «giusta pace»? La memoria dovrebbe tornare anche agli accordi di Dayton, giusto trent’anni fa, che misero fine alla guerra dei Balcani, ma spartirono la Bosnia (la vittima principale del conflitto), e addirittura legittimarono come pace-maker il massimo responsabile di massacri, invasioni e pulizia etnica, il dittatore serbo Slobodan Milosevic. Poi si arrivò alla violazione del diritto internazionale per sostenere con armi e bombe l’indipendenza del Kosovo a maggioranza albanese (allora provincia della Serbia), fornendo così a Putin un formidabile alibi per prendersi la Crimea russofona. Un dato di fatto di cui oggi nemmeno si discute!
Si parlerà invece della parte di Donbass che i russi si terranno per sempre, magari in un ibrido istituzionale privo di riconoscimento internazionale, sull’esempio della frontiera coreana. Dettagli grotteschi, se si pensa all’assetto molto più favorevole degli accordi di Minsk e al fatto che, dietro le quinte, gli stessi ucraini danno per persa, in tutto o in parte, la regione. E si discuterà, oggi come allora, del posto dell’Ucraina in Europa e della sicurezza del Paese. Nulla di più e nulla di meno di una questione che è sul tavolo praticamente dalla caduta del Muro di Berlino, o quantomeno da quando Washington (vertice di Bucarest nel 2008) pose la questione dell’ingresso dell’Ucraina e della Georgia nella Nato. Questione che a quanto pare interessa meno a Donald Trump.
Ma in attesa del giudizio della Storia, la cronaca ci dice che il diritto internazionale è stato ampiamente stracciato dall’intesa Washington-Mosca sulla pelle degli ucraini e alle spalle degli europei e che il «deserto che chiamano pace», per citare Tacito, sarà il futuro dell’Ucraina, molto probabilmente medicata a spese dell’Europa. Un esito al ribasso, un disastro politico e diplomatico rispetto agli accordi di Minsk. Ne valeva la pena?