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 2025  dicembre 03 Mercoledì calendario

La nera scia dei Comuni sciolti per mafia: in 34 anni sono 402, almeno uno al mese

Dall’alto della collina partenopea dei Camaldoli, gli oltre cinquantamila cittadini di Marano di Napoli guardano al futuro del proprio Comune non senza incertezza. Già perché negli ultimi trent’anni l’amministrazione in questione è stata sciolta 5 volte per infiltrazioni mafiose, tre nell’ultima decade, e attualmente è sotto gestione straordinaria. Nel Lazio invece c’è Nettuno, unico Comune del Centro-Nord a essere stato sciolto due volte. In Piemonte ci sono Leinì e Rivarolo, commissariati nel 2012 in seguito a indagini sulla ‘ndrangheta nel Torinese. E giù in Calabria, fra i tanti, spicca San Luca, nel Reggino, da decenni insidiato dalle cosche, giunto al terzo scioglimento e assurto suo malgrado a emblema della carenza di persone che provano a candidarsi, tanto che ancora oggi è gestito da un commissario straordinario. Sommate, quelle situazioni e tante altre danno un totale che lascia sgomenti: dal 2 agosto 1991, ossia dall’avvento della legge 164, al 30 settembre 2025, sono stati 402 gli scioglimenti di enti locali per infiltrazioni mafiose (stabiliti dal Consiglio dei ministri e promulgati da decreti del Capo dello Stato). Una pratica che non ha mai In media, in 34 anni, uno scioglimento al mese, con un picco durante i primi anni di applicazione della nuova normativa (dal 1991 al 1993 76 scioglimenti) e poi un saliscendi, ma sempre con numeri alti. Dati che sono stati raccolti dall’associazione Avviso Pubblico nel dossier “Il male in Comune”, presentato ieri a Roma presso la Federazione Nazionale della stampa.
Cifre alla mano, i governi che hanno adottato il maggior numero di decreti di scioglimento, sono stati quello guidato da Paolo Gentiloni (con 38 decreti fra il 2016 e il 2018) e quello del professor Mario Monti (36 decreti, fra fine 2011 e primavera 2013), entrambi esecutivi di fine legislatura e sostenuti da maggioranze trasversali.
Nel dettaglio, i 402 scioglimenti hanno riguardato 294 enti locali (288 Comuni e 6 Aziende sanitarie provinciali). Sono infatti 83 le amministrazioni locali che hanno subito due o più scioglimenti dal 1991 a oggi. Nel dolente elenco, primeggia come detto Marano di Napoli, con 5 provvedimenti, ma seguono 22 enti locali (fra cui il comune calabrese San Luca) sciolti tre volte; 60 per due volte; e i restanti 211 una sola. Vanno inoltre menzionate, fra il 2010 e il 30 settembre 2025, 59 archiviazioni. E si contano 24 casi in cui Tar e Consiglio di Stato hanno disposto l’annullamento dei decreti per la mancata individuazione degli «elementi univoci, concreti e rilevanti» in grado di dimostrare il condizionamento mafioso.
«È fuorviante pensare che la malamministrazione sia solo un fenomeno di sciatteria e incompetenza – ragiona Roberto Montà, presidente di Avviso Pubblico -. C’è una criminalità che ha bisogno di costruire una relazione con le comunità locali e non solo un rapporto diretto con amministratori o funzionali pubblici». E Sandro Dolce, sostituto procuratore della Direzione nazionale antimafia, osserva: «Le indagini degli ultimi 10 anni mostrano come le mafie tendano ad abbandonare il metodo della violenza e dell’intimidazione e a privilegiare collusione e corruzione, soprattutto nel Centro Nord. Viaggiare sotto traccia, senza il clamore di attentati, bombe e minacce le aiuta».
Se si allarga lo sguardo alla Penisola, risultano 11 le regioni interessate dai provvedimenti (altre due, Sardegna e Veneto, hanno registrato archiviazioni). E l’89% degli scioglimenti, ossia 360, è avvenuto in Calabria, Campania e Sicilia, con una quarta regione appena fuori dal triste podio, la Puglia, che porta la percentuale al 96 e la somma a 386 casi. I rimanenti, meno di una ventina, riguardano Lazio (5), Piemonte (3), Liguria (3), Basilicata (2) e Lombardia, Emilia-Romagna e Valle d’Aosta tutte con un episodio. In sole 5 province (Reggio Calabria, Napoli, Caserta, Palermo e Vibo Valentia) si assomma il 63% dei provvedimenti.
Secondo la sottosegretaria all’Interno Wanda Ferro, «colpisce il fatto che in 374 comuni tornati al voto dopo lo scioglimento, 31 sindaci rimossi siano stati nuovamente eletti e altri siano comunque rientrati in Consiglio comunale o in giunta. Segno di una distanza fra l’intervento dello Stato e la percezione dei cittadini. Per questo, stiamo lavorando a una riforma della normativa», che introduca forme di sostegno a casi critici, dove non ricorrono gli elementi per il commissariamento. Pure per il presidente dell’Autorità nazionale anticorruzione, Giuseppe Busia, si può migliorare il quadro normativo, ad esempio prevedendo «interazioni tra l’istituto dello scioglimento per mafia e le misure straordinarie di gestione». Nell’attesa, ci sono amministrazioni che provano a farcela con le proprie forze, cercando di ricostruire la trama del tessuto amministrativo e sociale lacerata dalle infiltrazioni mafiose. Come a Manfredonia, in Puglia, col sindaco Domenico La Marca. O a Casal di Principe, già famigerato feudo dei Casalesi, dove la buona amministrazione di Renato Natale, terminata un anno fa, ha lasciato in eredità ai cittadini un modello nuovo e sano, elogiato apertis verbis dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella.