La Stampa, 3 dicembre 2025
Paolo Gobetti cent’anni resistenti
Nel giorno della sua nascita – il 28 dicembre di cento anni fa – Paolo Gobetti vedeva un segno bene augurante della sua vocazione. Il 28 dicembre 1895 era nato ufficialmente il cinema. Al Grand Café di Parigi i fratelli August e Louis Lumière proiettano dieci brevissimi spezzoni, uno dei quali è L’uscita degli operai dall’officina Lumière, reperto di quello che diventerà il cinema militante di Paolo. In totale opposizione all’idea di cinema come magia e narrazione di Méliès. Ma andiamo con ordine. Il 16 febbraio 1926, quando Paolo non ha ancora compiuto due mesi di vita, muore a Neuilly-sur-Seine (Parigi), a causa delle bastonate ricevute in patria dai fascisti, Piero Gobetti. Non è una passeggiata essere figlio di un tale padre, morto prima di aver compiuto 25 anni. Dopo aver fondato e diretto tre riviste a cui collaborano i più bei nomi della cultura italiana, creato una casa editrice che pubblica quasi cento volumi (tra cui gli Ossi di seppia di Montale), esercitato il ruolo di critico teatrale presso il quotidiano Ordine Nuovo diretto da Antonio Gramsci. Paolo si affranca dal ruolo di “figlio di” nel 1943 quando, non ancora 18enne, in seguito all’armistizio dell’8 settembre, andrà a fare il partigiano in val di Susa aderendo al movimento di Giustizia e Libertà. Anche sua madre Ada Prospero sarà impegnata nella lotta e racconterà la sua esperienza nel libro del 1956 Diario partigiano. Paolo ritroverà quel momento magico della sua storia nel film Le prime bande realizzato nell’arco di 5 anni, dal ’77 all’82. In un’intervista Paolo confessa: «Io sono legato, strettamente legato all’esperienza partigiana, perché mi ha appassionato troppo, mi ha divertito troppo, mi sono sentito bene, all’inizio soprattutto più che alla fine». Paolo inizia la sua militanza nel cinema come critico per l’edizione piemontese dell’Unità dal 1948 al 1955. In seguito è redattore capo di Cinema Nuovo la rivista di Guido Aristarco. Poi fonda e dirige la rivista Il nuovo spettatore cinematografico (1959 – 1963). Nel 1965 si celebrano a Cuneo i venti anni della Resistenza, con una rassegna di film documentari italiani e stranieri. L’idea parte da Gianni Rondolino: perché non ne facciamo una copia? Così nel febbraio del 1966 nasce l’Archivio Nazionale del Cinema della Resistenza (ANCR). La sua prima sede nella casa di via Fabro, 6, nella stanza dove Paolo era nato. In un primo tempo il lavoro consiste nel montaggio di materiali documentari preesistenti: Lotta partigiana, Dalla marcia su Roma a piazzale Loreto. Sulla base di un principio del tutto innovativo, per l’uso delle interviste sonore al posto di una voce fuori campo, anonima e autoritaria. Per tutti i lavori che si susseguono lo strumento principe è l’intervista ai protagonisti, mettendo le basi di una storia orale, imprescindibile per ricostruire storie complesse e prive di documenti scritti. Le interviste e le testimonianze devono essere raccolte sui luoghi degli eventi, perché anche l’ambiente aiuta la memoria. Nuto Revelli lo chiamava “il mediatore”. Nel frattempo nasce un nuovo filone generato dal passaggio a Torino di Giuseppe Prezzolini, uno degli ultimi a vedere Piero Gobetti a Parigi. Nel 1969 ha 90 anni, intervistiamolo prima che sia troppo tardi. (Morirà centenario a Lugano). La domanda di Paolo sarà: «Chi era mio padre?». E così, per tutta una lunga serie: Gli amici di Gobetti, una fonte preziosa per la storia della cultura italiana che varrebbe la pena editare e divulgare. In parallelo inizia una campagna di raccolta di interviste sulla Guerra di Spagna, iniziata dapprima con i combattenti piemontesi sopravvissuti e che poi si è allargata. Risultato: oltre 300 ore di girato a disposizione degli studiosi. Paolo aveva le idee chiare, detestava tutti quegli accorgimenti messi in atto per rendere gradevole un audiovisivo («tutte quelle cose infami»). Aveva un’idea alta del cinema quale strumento di lotta, era aperto a tutte le sperimentazioni tecniche ma fermo sul rigetto di tutti quegli interventi che, con la scusa di abbellire un programma, intaccano la genuinità delle testimonianze. Era impossibile fargli cambiare idea o costringerlo a “chiudere” la realizzazione di un progetto se riteneva che si potesse ancora aggiungere qualcosa. Ti stava a sentire con un sorrise complice e amichevole e poi tirava dritto per la sua strada. In compenso non pretendeva di imporre le sue idee, la sua “visione”, ai tanti ragazzi che nel corso degli anni hanno trovato nell’ANCR (nel frattempo traslocato nel Polo del Novecento) un luogo aperto e libero per le sperimentazioni, per mettere alla prova una vocazione che per alcuni sarebbe diventata una professione. Non facciamo i nomi dei collaboratori: sono tanti e rischieremmo di dimenticarne qualcuno. La prova che Paolo Gobetti aveva visto giusto sta nel fatto che, trent’anni dopo la sua morte, la sua creatura è un luogo ancora pulsante di Energie Nove, come si intitolava la prima delle riviste fondate da Piero Gobetti.