la Repubblica, 3 dicembre 2025
Intervista a Christian Vieri
Bobo Vieri risponde al telefono da Miami, fra una partita e l’altra delle finali del torneo EA7 World Legends Padel Tour. «Ho cominciato col tennis da bambino. La racchetta nella mia vita c’è sempre stata».
Fra gli ex calciatori, l’attrazione per il padel è contagiosa.
«Io gioco con Perotti e Candela. Giriamo il mondo, ci teniamo in forma e possiamo competere, che per chi ha dedicato la vita alla vittoria è importante. L’anno prossimo le tappe italiane del torneo raddoppieranno e andremo in Asia, a Hong Kong».
Il 5 dicembre sarà a Washington, per i sorteggi del Mondiale, con il suo amico Infantino.
«Gianni è interista. Veniva a vedermi giocare prima di diventare presidente della Fifa. È una persona gentile e il dirigente di cui il calcio mondiale ha bisogno».
Come vede la Nazionale?
«Negli spareggi, ogni avversario è il peggiore possibile. Evitiamo l’errore di pensare già alla finale. Rino sa cosa fare: zero chiacchiere e volontà totale di battere l’Irlanda del Nord. I giocatori li abbiamo, anche in attacco».
L’ultimo arrivato è Pio Esposito. C’è chi lo ha paragona a Toni e a lei.
«Succedeva anche ai miei tempi. Fai due gol e sei Boninsegna. È un giochino inutile, ciascuno è fatto a modo suo. La via per il successo è una sola: impegno, mentalità, cura del fisico. E niente scuse. Pio mi sembra sulla strada giusta».
Altri attaccanti in Serie A che l’hanno impressionata?
«Bonny è forte. Nico Paz ha classe. Non mi stupisce che il Real Madrid voglia riportarlo a casa».
Nel 1999 l’Inter pagò il suo cartellino 90 miliardi alla Lazio. Oggi quanto varrebbe Bobo Vieri?
«Magari quei soldi li avessero dati a me! Il mercato delle punte ora è folle. Ronaldo il Fenomeno costerebbe 500 milioni. Per gli altri, dipenderebbe dal numero dei gol. Oggi gli attaccanti partecipano molto alla fase difensiva, ma quello che conta restano i palloni in rete».
La favorita per lo scudetto?
«È presto per dirlo. Sono tutte imperfette. Il Milan perde punti con le piccole, l’Inter con le grandi. Qualcosa hanno lasciato giù anche Roma, Napoli e Bologna. Ha ragione Allegri: lo capiremo a marzo».
E in Champions, dove possono arrivare le italiane?
«L’Inter ha la rosa più ampia, ma tutte possono puntare ai play-off. Per la coppa, dico Bayern Monaco».
Chi è stato il suo idolo?
«Chi univa talento e lavoro. Michael Jordan, John McEnroe, Roger Federer. Oggi mi godo Sinner e Alcaraz. Ma forse il primo modello è stato Viv Richards di Antigua, uno dei migliori battitori di ogni tempo».
È vero che da bambino, in Australia, sognava di diventare una stella del cricket come lui?
«Mi venivano bene tanti sport, forse avrei potuto farlo. Ma è per il calcio che a 13 anni sono venuto in Italia».
Le manca il campo?
«Tantissimo. Come Chivu, sono appassionato di NFL. Dan Marino mi ha detto che a 64 anni vorrebbe ancora giocare. Lo capisco. Quando entro in uno stadio, mi prende la tristezza. Vorrei cambiarmi ed entrare. Ne ho parlato con tanti ex, a partire da Totti».
Lui è stato una bandiera, lei ha cambiato 13 squadre.
«Rifarei tutto. Alcune scelte le ho azzeccate, altre no. Ma sbaglia solo chi decide. Io ho sempre seguito la passione».
Il primo ingaggio?
«Da ragazzino, mio nonno mi dava cinquemila lire per ogni gol. Ma è dovuto scendere a mille, altrimenti si bruciava la pensione».
Come se la cava a gestire i soldi?
«Ho imparato, ma non è facile. Quando giocavo, mi aiutava mia madre. Mi ha consentito di concentrarmi sul calcio».
Da giocatore ha preso tante multe dai club?
«Qualcuna, ma non me le ricordo. Bastava piangere un po’ coi presidenti e venivano annullate. Pago solo quelle prese per strada».
Il presidente dell’Atletico Madrid le regalò una Ferrari.
«Una Maranello, per una tripletta. Non la ritirai, perché mi trasferii subito alla Lazio. Me la comprai uguale a Roma. Sembra una vita fa. Adesso il mezzo che più mi diverte è il Ciao di un mio amico. E in auto deve starci tutta la famiglia».
Com’è la vita da papà?
«Ho una moglie meravigliosa e le bimbe ci somigliano. La grande ha il mio carattere, la piccola il suo. Un amore folle».
Le manca qualcosa degli anni in cui veniva fotografato con le donne più belle d’Italia?
«Niente. Sono stati anni belli, ma ero diverso dall’etichetta che avevo addosso. La gente parla senza sapere. Il mio primo pensiero era fare un gol a partita, il resto veniva dopo. E l’ho dimostrato. Aveva ragione Mondonico, che con Cesare Maldini è stato uno degli allenatori che mi hanno capito di più: il campo non mente. Se ti alleni a uno all’ora, giochi a uno all’ora».
Ha mai pensato di allenare?
«Ho fatto il corso con Del Piero, Matri, Pazzini, De Rossi, Pizarro, Abate, Montolivo. Ci siamo divertiti, ma non mi ci vedo. È un lavoro terribile, è sempre colpa tua. Sono imprenditore. Ho avviato il brand Sweet Years, la Gaming House PL di Milano, spazio dedicato ai professionisti dei videogiochi. C’è Bombeer, la mia birra, e organizzo la Bobo Summer Cup di padel. Poi la Bobo Tv. Ho fatto anche un corso di dj. Mi piace cogliere le novità».
Il momento più bello della sua carriera?
«Il primo allenamento, e ogni volta che ho giocato da allora. Non serve la Champions, basta il calcio».
Se potesse rigiocare una partita?
«La finale di Champions nel 1997 con la Juve e il 3-3 in Fiorentina-Lazio del 2000. Inter-Lazio del 5 maggio 2002 e Corea-Italia, al Mondiale».
Di notte sogna di giocare?
«Sempre. Faccio dei gol della madonna e ne sbaglio di facili. Ma non mi sveglio, mi godo il momento. Non vale la pena incazzarsi».