la Repubblica, 3 dicembre 2025
L’Ocse promuove l’Italia sui conti pubblici, ma paga la crescita: limata per il 2025
In un contesto economico “resiliente ma con crescenti fragilità” l’Italia conferma pregi e difetti di questa sua fase economica: bassa crescita, conti pubblici disciplinati con una stretta sulle uscite ed entrate in aumento, necessità di proseguire con gli investimenti pubblici e il riequilibrio del peso fiscale, spostandolo dal lavoro al patrimonio immobiliare.
Nel nuovo outlook economico dell’Ocse, l’organizzazione delle economie avanzate, si prende atto del fatto che l’economia globale ha tenuto botta nonostante le preoccupazioni per l’elevarsi delle barriere commerciali e l’aumentata incertezza distillata in giro per il mondo. La corsa a riempire i magazzini prima dell’entrata in vigore dei dazi di Trump, quella agli investimenti per l’IA e una posizione di supporto assunta dai bilanci pubblici e dalle banche centrali ha aiutato a tenere i giri del motore a livelli accettabili. La previsione Ocse è di un Pil globale in crescita del 3,2% quest’anno, poi del 2,9 e quindi del 3,1% nei prossimi due. Per metà 2027 è atteso il graduale rientro nei ranghi definitivo dell’inflazione.
Nel capitolo dedicato all’Italia si legge invece di una previsione che il Pil aumenti leggermente dallo 0,5% nel 2025 allo 0,6% nel 2026 e allo 0,7% nel 2027. “Le esportazioni deboli, a seguito dell’aumento delle tariffe globali, e una domanda delle famiglie contenuta, nonostante l’aumento dei redditi reali, peseranno sulla crescita nel breve termine”.
Nell’outlook intermedio di settembre, Parigi aveva indicato per l’Italia una crescita dello 0,6% sia nel 2025 che nel 2026 mentre l’andamento dell’economia mondiale era previsto al +3,2% quest’anno e al +2,9% il prossimo. Per intendersi, l’Eurozona è vista in crescita dell’1,3% quest’anno, poi dell’1,2 e 1,4%: velocità doppia della nostra.
L’Italia è inserita tra coloro che sacrificano la crescita all’altare della disciplina dei conti: “Si prevede che l’espansione fiscale stimolerà l’attività economica in Germania, grazie a una maggiore spesa per la difesa e le infrastrutture, mentre il previsto consolidamento fiscale in Francia e in Italia smorzerà la crescita”. E poco oltre si dettaglia che la fine degli stimoli dei Piani di ripresa e resilienza “dovrebbe contribuire al consolidamento fiscale in diversi paesi nel 2027, tra cui Italia e Spagna. In Italia è inoltre previsto un consolidamento fiscale pari allo 0,3% del PIL nel 2026”.
Restando sull’Italia, l’Ocse prende atto dell’effetto positivo sulla crescita dall’accelerazione degli investimenti pubblici del Pnrr, “prima di rallentare nel 2027”. E vede rischi “bilanciati”: se lo spread tornasse ad ampliarsi o si indebolissero ulteriormente i rapporti commerciali con i partner esteri rallenteremmo; se le condizioni di finanziamento dovessero migliorare ulteriormente potremmo accelerare. Per ridurre ulteriormente il deficit e stabilizzare il debito/Pil, visto in salita al 137,7% l’anno prossimo con deficit sotto il 3% (è visto al 2,6% del Pil nel 2027), servirà “l mantenimento delle entrate, il miglioramento dell’efficienza della spesa e la conferma delle precedenti misure per contenere la spesa pensionistica”. Il surplus primario dovrebbe comunque salire dallo 0,6 all’1,3% tra 2025 e 2027, in linea con il sentiero indicato per raggiungere il 2,1% nel 2029.
“Un miglioramento del mix delle politiche fiscali può sostenere la spesa delle famiglie e incentivare l’occupazione”, suggerisce l’Ocse. La via è ridurre l’evasione “spostando al contempo il carico fiscale dal lavoro verso la proprietà immobiliare”. Non manca un riferimento alle imprese, che sembra quantomai legato al caso degli incentivi per Transizione 5.0: “Migliorare la chiarezza e la prevedibilità dei programmi di sostegno agli investimenti delle imprese, anche attraverso una riduzione graduale delle soglie dimensionali per l’ammissibilità, incoraggerebbe una maggiore adesione e favorirebbe la crescita delle imprese.Maggiore certezza riguardo alle normative e ai processi autorizzativi, in particolare per la produzione da fonti rinnovabili e le infrastrutture di trasmissione, può favorire l’aumento degli investimenti privati”. Ancora – questa volta in un approfondimento dedicato all’eccesso di regolamentazione – l’Organizzazione ricorda come “la crescente complessità dei testi giuridici sembra aver generato incertezza nell’applicazione delle normative per le imprese, il che potrebbe aver ridotto il Pil pro capite di oltre il 3% negli ultimi 20 anni a causa della minore crescita e degli investimenti delle imprese”.
A livello globale la cautela, comunque, regna sovrana. Nella stessa introduzione il segretario generale Mathias Cormann ammonisce che le “prospettive restano fragili. Un ulteriore aumento delle barriere commerciali, soprattutto riguardo agli input critici, potrebbe infliggere danni significativi alle catene di approvvigionamento e alla produzione globale”. Non manca l’allarme al rischio bolla da IA, dopo quelli suonati dal Fmi, da Bankitalia e dalla Bce solo per citarne alcuni. “Le elevate valutazioni degli asset, basate su aspettative ottimistiche di utili aziendali trainati dall’IA, rappresentano un rischio di potenziali e brusche correzioni dei prezzi”. Così come sul fronte dei bilanci pubblici (vedi il caso-Francia) non è data per scontata la bonaccia: “Le vulnerabilità fiscali potrebbero spingere al rialzo i rendimenti sovrani a lungo termine, irrigidendo le condizioni finanziarie e ostacolando la crescita”. Alle banche centrali si chiede di “rimanere vigili, continuando a ridurre i tassi dove l’inflazione è stabilmente in linea con gli obiettivi o vi sta tornando, ma essere pronte a modificare la rotta in caso di rinnovate pressioni inflazionistiche o di inattese debolezze del mercato del lavoro”. Tra i possibili rischi, per i quali si chiede la supervisione delle autorità di vigilanza finanziaria, quelli legati alla crescita delle “istituzioni finanziarie non bancarie e dei crypto-asset, affinché l’innovazione finanziaria non generi indebiti rischi per la stabilità finanziaria”.
Resta poi l’invito a “riforme strutturali ambiziose”. Rispetto alla fine degli anni Novanta, la crescita potenziale del Pil pro-capite delle economie avanzate è scesa dal 2,2 all’1,4 per cento. “Le riforme che riducono la burocrazia, semplificano le regolamentazioni e abbassano le barriere all’ingresso nei settori dei servizi sono fondamentali per migliorare la concorrenza, l’innovazione, la produttività e la dinamicità delle imprese”.