Avvenire, 2 dicembre 2025
La stretta della Tunisia: meno viaggi e più espulsioni
Senza dubbio ha funzionato, lo si vede chiaro dai numeri e dalle percentuali che precipitano se confrontate con quelle libiche. Dalla Tunisia si registrano meno viaggi irregolari verso le coste italiane, dopo quasi tre anni di contrasto ai flussi migratori da parte delle autorità locali, a cui ha dato manforte il Memorandum d’intesa firmato con l’Ue nel 2023. Quello che, invece, si vede di meno è l’impatto reale delle misure adottate sulla vita di chi, su questa rotta, cercava protezione ma è stato efficacemente tenuto fuori dai confini europei. «La fame, le espulsioni verso il deserto, la prigione: sono numerosi i rischi nella vita di un richiedente asilo», confida ad Avvenire, dalle campagne della città tunisina di Sfax, il giovane I. F., originario della Sierra Leone. Nei primi otto mesi del 2025, sul totale delle persone arrivate in Italia via mare in maniera irregolare l’88% è partito dalla Libia e solo l’8% dalla Tunisia. Nel 2023, le percentuali erano invertite: il 62% si era imbarcato dalle coste tunisine, il 33% da quelle libiche. Proprio quell’anno nelle politiche migratorie della Tunisia si è assistito a un “cambiamento radicale”. Così lo definisce Amnesty International in un rapporto pubblicato il 6 novembre con nuove testimonianze di violazioni dei diritti umani ai danni di migranti subsahariani nel Paese. Si aggiungono alle storie già diffuse in questi tre anni su intercettazioni violente in mare, arresti, detenzioni ed espulsioni collettive verso Libia e Algeria. Rispetto a queste ultime, “poco frequenti prima del 2023”, il report riferisce che “Guardia Nazionale tunisina, esercito e polizia hanno collaborato per espellere sommariamente e collettivamente rifugiati e migranti su base sistematica, compresi bambini e donne incinte”. Sarebbero “almeno 11.500” gli espulsi tra giugno 2023 e maggio 2025, al di fuori di qualsiasi controllo giudiziario.
«Ci sono ancora partenze da Sfax verso l’Italia, ma di solito finiscono in Libia o nel deserto per le operazioni della polizia», conferma I. F. al telefono. «La macchina delle espulsioni collettive rimane in funzione», assicura anche un esponente della società civile che chiede l’anonimato. «Chi è intercettato in mare viene fatto sbarcare ed espulso verso le frontiere quasi automaticamente. L’area intorno a Sfax è monitorata persino con i droni, con radar e “tre livelli di difesa” in mare, anche con imbarcazioni fornite da italiani e altri europei». Durante le intercettazioni, scrive Amnesty, in questi anni “la Guardia Marittima Tunisina ha fatto ricorso ad azioni sconsiderate, illegali e violente, tra cui manovre ad alta velocità che hanno creato onde che minacciavano di capovolgere le barche dei migranti, lacrimogeni a distanza ravvicinata, collisioni”.
In una comunicazione alle autorità tunisine il 1° ottobre 2024, un gruppo di esperti delle Nazioni Unite valutava che «la Tunisia non soddisfa le condizioni per condurre operazioni di ricerca e soccorso e garantire l’identificazione e la protezione al momento dello sbarco, in conformità con gli obblighi internazionali”» Eppure da oltre un decennio, l’Ue e gli Stati membri le forniscono supporto e denaro per contenere i flussi, prima nell’ambito dell’“Eu Trust Fund for Africa” poi dello “Strumento di vicinato e cooperazione internazionale” e ora con il Memorandum del 2023 “firmato – sottolinea il rapporto – senza efficaci garanzie per i diritti umani, in un contesto di retorica razzista ben documentata e crescente da parte dei funzionari pubblici e poco dopo la prima ondata di espulsioni collettive”. A Tunisi o nelle aree rurali in attesa di prendere il mare, i subsahariani “sono costretti a essere invisibili negli spazi pubblici perché le autorità conducono campagne di arresti in modo sistematico. E sono abbandonati perché nessuna organizzazione statale, né della società civile, né internazionale fornisce aiuto”, aggiunge la fonte ben informata. Persino il lavoro dell’Onu è ostacolato negli aspetti più essenziali. A luglio, l’Alto Commissario per i rifugiati (Unhcr), Filippo Grandi, ha dichiarato che in Tunisia «la repressione è ancora più severa che in Libia... Non ci lasciano più registrare i richiedenti asilo». Da un anno e mezzo, infatti, non è possibile chiedere protezione.
Una carta dell’Unhcr in tasca, per la verità, in questi anni non ha protetto da arresti ed espulsioni, però dava qualche speranza di lavorare nel settore informale o di affittare una stanza. «La sospensione della registrazione di nuovi richiedenti è iniziata nel giugno 2024 su richiesta delle autorità tunisine e rimane in vigore – ci conferma Tarik Argaz, responsabile della comunicazione dell’agenzia per il Nordafrica –. Mentre l’Unhcr continua a rinnovare i documenti per i registrati prima del giugno 2024, l’accesso all’asilo per i nuovi richiedenti rimane congelato. L’Unhcr l’ha comunicato all’Ue». Intanto, è in corso una repressione senza precedenti contro almeno quindici Ong che davano assistenza ai subsahariani. Tra queste, il Consiglio tunisino per i rifugiati (Ctr), che collaborava con Unhcr. Il 24 novembre sono stati condannati a due anni di carcere (ormai già svolti) il fondatore del Ctr, Mustapha Djemali, e un collega. A ottobre sono arrivati nuovi ordini giudiziari di sospensione per altre Ong come il Ftdes e la sede locale dell’Organizzazione mondiale contro la tortura. Così, non solo migranti e richiedenti asilo sono costretti a rimanere invisibili. «Anche ogni forma di solidarietà verso di loro – conclude l’esponente della società civile – deve restare ugualmente invisibile e nascosta».
Arrivi via mare: i numeri del cruscotto del Viminale
63.447
I migranti giunti via mare da inizio anno, in linea con quelli del 2024 (63.537)
1.704
I migranti morti nel Mediterraneo da Gennaio (fra loro 93 sono minori)
11.661
I minori soli giunti da gennaio (in aumento rispetto al 2024 con 8.752 arrivi totali)