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 2025  dicembre 02 Martedì calendario

Lo schiaffo al poliziotto non è un (grave) reato, la Consulta accoglie il ricorso: «Gesto occasionale di violenza irrisoria»

Tirare uno schiaffo a un poliziotto può essere considerata un’offesa non grave, o comunque «particolarmente tenue», tanto da lasciare impunito l’autore del reato. Lo stabilisce la Corte Costituzionale, accogliendo il ricorso presentato dalla prima sezione penale del Tribunale di Firenze, in composizione monocratica, chiamato a giudicare una donna accusata di resistenza aggravata a pubblico ufficiale, proprio perché aveva tirato uno schiaffo in faccia a un agente. Secondo il giudice di primo grado si tratta di un «gesto occasionale di violenza irrisoria». Un precedente che – temono i sindacati delle forze dell’ordine – potrebbe delegittimare l’operato di poliziotti, carabinieri, finanzieri e alimentare un clima di impunità. Soprattutto perché, persino «in danno di animali», non può essere riconosciuta la tenuità dell’offesa se si ha agito «per motivi abietti o futili, o con crudeltà».
Durante una manifestazione politica svoltasi ad ottobre del 2019 a Firenze – presumibilmente la “Leopolda” con cui Matteo Renzi quell’anno aveva tenuto a battesimo il suo partito “Italia Viva” – alla militante era stato impedito di entrare nel padiglione dove si svolgeva la kermesse perché era stata «già raggiunto la capienza massima». A.M., piccata, aveva toccato più volte con un dito il torace di un agente della polizia di Stato, «infine colpendolo con uno schiaffo al volto». Per il Tribunale di Firenze la donna, incensurata, «di corporatura minuta» e affetta da «patologia oncologica», ha agito con forza evidentemente modesta, «non per turbare il regolare svolgimento della manifestazione in corso, bensì al fine di partecipare alla stessa». Il magistrato avrebbe quindi voluto invocare la causa di non punibilità dell’imputata «per particolare tenuità del fatto», ma il terzo comma dell’articolo 131 bis del codice penale la esclude per reati come resistenza, violenza o minaccia a pubblico ufficiale. Per questo, con ordinanza del 24 maggio 2024, ha sollevato la questione di legittimità costituzionale della norma. Secondo il giudice, sono stati violati i principi di uguaglianza sanciti dall’articolo 3 della Costituzione perché ci sono altri reati che, «pur di uguale o maggiore gravità» rispetto a quelli di resistenza, violenza o minaccia a pubblico ufficiale, consentono di applicare «l’esimente di particolare tenuità del fatto». La questione, giudicata «inammissibile» dal presidente del Consiglio dei ministri, per la Consulta «è fondata». «È manifestamante irragionevole», spiega la Corte, che la causa di non punibilità sia ammessa per un reato più grave come quello di violenza o minaccia a un corpo politico, amministrativo o giudiziario».
«Premetto che le sentenze vanno sempre rispettate – commenta Pietro Colapietro, segretario generale del sindacato di polizia Silp Cgil – Era evidente l’intento del legislatore della Riforma Cartabia, che, escludendo l’applicazione dell’art. 131-bis per i reati commessi contro pubblici ufficiali nell’esercizio delle loro funzioni, voleva rafforzare il principio di autorità e garantire una maggiore protezione a chi opera quotidianamente per la sicurezza e l’ordine pubblico. La decisione della Consulta, se da un lato ripristina una coerenza sistematica nell’applicazione dell’istituto della particolare tenuità del fatto, dall’altro lato rischia di inviare un segnale equivoco: che aggressioni, anche se “minori” nell’immediato materiale, come uno sputo o uno schiaffo, possano essere declassate a fatti di scarsa rilevanza penale».
«Lo sputo contro un agente in divisa – precisa il sindacalista – non è mai un gesto di scarsa importanza. È un atto profondamente lesivo della dignità personale, un simbolo di disprezzo verso l’uniforme e l’autorità dello Stato che rappresenta. La percezione della sua impunità, o della sua ridotta gravità, potrebbe, temiamo, alimentare un clima di maggiore permissivismo e incoraggiare ulteriori atti di scherno o aggressione, minando quel principio di deterrenza fondamentale per garantire la sicurezza degli operatori e la loro capacità di svolgere il proprio dovere in serenità».