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 2025  dicembre 02 Martedì calendario

«Vorrei tornare indietro» Si infrange l’ultimo tabù: pentite di essere madri

Il giorno dopo il parto, il papà spesso torna al lavoro e a un’ovattata seppur nuova normalità. La mamma resta a casa, in ospedale, in clinica. Si guarda intorno e prende atto che la sua vita è profondamente cambiata. Troppe rinunce, rimpianti, ansie, dolori. Un pensiero nascosto, un tabù, si annida nel profondo di alcune donne: «Vorrei poter tornare indietro». Indietro vuol dire non partorire, non avere figli. Perché non tutte le madri sono felici della maternità. Il fenomeno del motherhood regret, il pentimento della maternità, è al centro di una analisi del progetto Forties, finanziato dal PNRR e dedicato alla maternità in età avanzata, condotto da un team dell’Università di Padova e di Bologna insieme all’Università Bicocca di Milano, coordinato dalla professoressa Alessandra Minello dell’ateneo padovano. Secondo l’indagine non tutte le madri vivono la maternità come un’esperienza appagante. Alcune, pur amando i figli, arrivano a pensare che la scelta di diventare madri abbia comportato rinunce e sofferenze così profonde da desiderare di non averla compiuta. «Il tema, reso noto dal lavoro pionieristico della sociologa israeliana Orna Donath, resta un tabù anche nei contesti più avanzati – spiega la professoressa Minello – Finora ricerche quantitative hanno mostrato che le madri possono pentirsi della scelta di avere avuto figli. Ma poco si sapeva sul contesto italiano e su come questo sentimento modelli le decisioni successive in materia di fecondità».
L’indagine Forties condotta su un campione di 3100 madri italiane mostra che il pentimento della maternità non è molto diffuso, ma quando c’è è associato a una significativa riduzione delle intenzioni di avere un secondo figlio nei successivi 3 anni. Accade sia tra le madri più giovani, tra i 20 e i 34 anni (1 punto, su una scala di intenzioni che va da 0 a 10), sia tra quelle di età più avanzata, tra i 35 e i 45 anni (0,52 punti). A mostrare questa dolorosa insofferenza sono soprattutto donne inserite in contesti di genere egualitari e più sottoposte a rinunce o pressioni. Un dato che fa riflettere: «Tra le madri più egualitarie, ovvero le donne che vivono la maternità con un approccio basato sull’uguaglianza di genere in cui entrambi i genitori sono paritari nel ruolo di crescita del figlio, l’associazione tra pentimento e minori intenzioni di fecondità è più marcata. Al contrario, le madri con visioni più tradizionali della famiglia tendono a mantenere intenzioni di fecondità più stabili, anche in presenza di pentimento». Ma soprattutto «il mito della madre sempre felice e realizzata non lascia spazio alla complessità dell’esperienza materna, né al riconoscimento del carico emotivo e identitario che comporta. Il pentimento della maternità, quando si manifesta, rompe un tabù culturale radicato e rende visibili tensioni profonde tra le aspettative sociali e la realtà vissuta dalle madri». Da qui il suggerimento: riconoscere questi vissuti non significa mettere in discussione la genitorialità ma comprendere meglio le condizioni sociali, economiche e simboliche che rendono difficile o gravosa l’esperienza di crescere un figlio. «In un paese come l’Italia, dove la fecondità resta tra le più basse d’Europa, questi risultati offrono una chiave interpretativa importante – conclude Minello – il benessere e l’autodeterminazione delle madri non sono solo una questione di equità di genere, ma anche un elemento cruciale per comprendere le scelte riproduttive e il futuro demografico del Paese». L’indagine è stata tema di una tavola rotonda a Padova, dal titolo “Maternità senza ferite – Riconoscere, ascoltare, rispettare per trovare lo spazio delle madri”. Al centro, un’analisi di un’Italia dove da un lato si fanno sempre meno figli e dall’altro si spinge sull’idealizzazione della famiglia tradizionale e sulla maternità da stimolare con misure politiche ed economiche, e dove gli ostacoli che attanagliano le fasi della fecondità e della natalità sono molti.

Su Facebook gruppi con membri anonimi di chi “odia i figli” sono molti. Come “I Regret Having Children” che ne conta oltre 88mila; più di 140mila sulla piattaforma Reddit “RegretfulParents”. Qui i genitori pentiti sfogano tutto quel malessere che non sanno a chi confidar
e. Un articolo del Guardian dal titolo “Vorrei tenere in braccio un gatto e non un neonato” sottolinea come sebbene sia raro che le madri pentite parlino apertamente, ci sono prove che siano una minoranza reale, in difficoltà. Cita la testimonianza di Tanya: «Con la maternità, ha avvertito una sorta di “cancellazione dell’identità": la perdita del passato e di tutto ciò che aveva sempre considerato prioritario come fare musica e insegnare yoga. Ma il problema era più profondo. Semplicemente non voleva essere una mamma». Si è sentita «sciocca, per aver preso una decisione così definitiva e che le ha cambiato la vita, nonostante le incertezze». Nel 2023, Konrad Piotrowski, docente di psicologia all’Università di Scienze Sociali e Umanistiche SWPS in Polonia, ha pubblicato uno studio sul rimpianto genitoriale, applicato a due gruppi campione, stimando che nei paesi sviluppati, dal 5% al 14% dei genitori si pente della decisione di avere figli.