Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2025  dicembre 02 Martedì calendario

«Piacere, sono erede anch’io» I testamenti stravolti dal dna

Fino a ieri bastava un cognome per sentirsi parte di una famiglia. Oggi basta un tampone di saliva. I test genetici “fai da te” promettono di raccontarci da dove veniamo, ma sempre più spesso finiscono per svelare molto di più: parenti sconosciuti, segreti di famiglia e, in certi casi, perfino diritti sull’eredità. Dall’America all’Italia, il boom dei kit del dna che costano tra i 70 e i 250 euro ha superato la soglia della semplice curiosità per trasformarsi in una questione legale, tra testamenti contestati, alberi genealogici da riscrivere, famiglie divise e patrimoni improvvisamente meno “di famiglia”. Perché oggi non si scopre soltanto chi siamo, ma anche che cosa potremmo reclamare.
Negli Stati Uniti il fenomeno sta assumendo dimensioni clamorose. A raccontarlo è il Wall Street Journal, che ha raccolto decine di storie di “eredi a sorpresa” emersi grazie a kit come quello della società californiana 23andMe, venduto a circa 176 dollari e capace di incrociare milioni di profili genetici in pochi secondi. In molti casi, dietro una scoperta familiare apparentemente felice si nasconde una lunga battaglia legale per patrimoni milionari.
Emblematico il caso di Carmen Thomas. Cresciuta a Boston con il racconto di un padre mai conosciuto, decide da giovane di sottoporsi a un test genetico. Il risultato la conduce a un cognome, Brown, e poi a due presunte sorellastre. Inizia così un riavvicinamento fatto di cene, fotografie di famiglia e ricordi recuperati. Ma il lieto fine è solo apparente. Un anno dopo Carmen avvia una causa civile per ottenere una parte del risarcimento concesso alla famiglia Brown dopo la morte per malasanità del padre biologico. Anche lei, sostiene, è una figlia. Negli Stati Uniti, però, le leggi variano da Stato a Stato. In alcuni casi è sufficiente la prova genetica per avanzare una pretesa ereditaria. In altri contano il legame affettivo con il defunto o i tempi della richiesta. Il risultato è che il dna, oltre a raccontare un’identità, diventa anche una chiave di accesso a conti in banca, immobili e trust.
E in Italia? Secondo l’avvocato Gianluca Sposato, patrimonialista specializzato in diritto ereditario e accertamento di paternità, il quadro è molto diverso. «Nel nostro ordinamento non basta scoprire di essere figlio biologico per diventare automaticamente erede. In Italia il figlio è tale solo se viene riconosciuto legalmente. Serve una sentenza di accertamento di paternità che, una volta definitiva, deve essere trascritta nei registri dello Stato civile». Il dna, dunque, non è un lasciapassare per l’eredità. «I test commerciali come quello “23andMe” non hanno alcun valore giuridico nel nostro Paese chiarisce l’avvocato e non possono essere utilizzati in tribunale. Non è sufficiente effettuare un test privato: il riconoscimento passa esclusivamente da una causa civile». Anche quando si decide di ricorrere alla genetica, il percorso è rigidamente normato. «Un test del dna serio, quello che ha valore legale, si esegue soltanto in un laboratorio di genetica forense certificato e costa tra i 300 e i 500 euro. L’affidabilità supera il 99,99 per cento, ma il dato scientifico da solo non basta: deve poi tradursi in una decisione del giudice».
Se il padre biologico è ancora in vita, e il test conferma la paternità, le conseguenze possono essere immediate e rilevanti. «Il figlio non solo acquisisce diritti ereditari, ma può anche chiedere il mantenimento arretrato per gli anni in cui non è stato riconosciuto», spiega Sposato. «Sono casi complessi, che comportano ricadute economiche importanti». Se invece il presunto genitore è deceduto, si apre un’altra strada. «Il test non si fa sul defunto, ma sui consanguinei: zii, fratelli, parenti prossimi. In alcuni casi è possibile anche procedere alla riesumazione della salma. Ma se non esistono parenti biologici diretti, dimostrare la filiazione diventa estremamente difficile, quando non impossibile».
Negli studi legali italiani, intanto, aumentano le richieste di consulenza legate a parentele scoperte online. «Mi capita sempre più spesso di incontrare persone convinte che basti un risultato su internet per avere diritti automatici», osserva l’avvocato. «Ma nessuna azione seria può partire senza il supporto di un genetista forense». Ed è spesso dopo il riconoscimento che esplodono i drammi familiari. Intanto i test genetici continuano a essere regalati a Natale come innocui gadget dell’identità. Ma non sempre sotto la carta regalo c’è una storia (felice) da scoprire.