la Repubblica, 2 dicembre 2025
Acchiappacitrulli: è questa la vera parola dell’anno
Le parole non cambiano il mondo. Né apparendo di colpo nelle nostre frasi né quando proviamo a farle scomparire. Sarebbe bello se bastasse smettere di dire cancro, guerra, dolore perché cancro, guerra e dolore sparissero dalla faccia della Terra. Né tantomeno sostituiscono la realtà. Per quanto possa essere gratificante sentirsi dire mi manchi, o ti amo, sono un abbraccio o un bacio a invertire, nel caso, la rotta della nostra vita. Il mondo si cambia da solo, rotola, si impenna, cade. Smette di sdrucciolare, semmai, quando leggi giuste ne impediscono la deriva. E la realtà si manifesta a prescindere dal nome che le diamo. Le parole hanno un’altra funzione. Come scriveva Elsa Morante – una che di parole se ne intendeva parecchio – in quel saggio scritto a metà degli anni Sessanta ma ancora sconvolgente che si intitola Pro o contro la bomba atomica, l’arte è il contrario della disintegrazione. Lo scrittore, il poeta, l’artista, chiunque abbia parole nella sua cassetta degli attrezzi, deve essere garante e testimone di quella integrità. Testimoniare ciò che è integro contro ciò che si disintegra. Teniamolo a mente. Ogni anno l’Oxford Dictionary sceglie una parola simbolo, la parola che più di tutte dovrebbe rappresentarci. Una parola testimoniale, non creativa. Talvolta una minuscola profezia che purtroppo si avvera.
L’anno passato, inaugurando una pratica che potremmo chiamare “parole orribili per un mondo orribile”, l’Oxford Dictionary scelse l’espressione brain rot, traducibile con “marciume cerebrale”. Cioè il deterioramento mentale determinato negli esseri umani dal consumo spasmodico e sregolato di contenuti online.
La parola dell’anno del 2025, in linea con quella bruttura di cui si è detto, è invece rage bait. Da dizionario: «Contenuto online creato appositamente per provocare rabbia o indignazione attraverso elementi provocatori o offensivi, in genere pubblicato per aumentare il traffico o l’interazione su una particolare pagina web o piattaforma di social media». Come si traduce in italiano? Azzardo, scusandomi in anticipo coi traduttori veri: “Acchiappacitrulli”. Lo ricorderete, Acchiappacitrulli è il paese dove arriva Pinocchio, scortato dal Gatto e dalla Volpe, un paese popolato di cani spelacchiati, pecore tosate, pavoni scodati, galline che chiedono l’elemosina di un chicco di granturco, farfalle che hanno venduto le ali e non possono più volare. Dopo aver domandato del Campo dei Miracoli, il nostro improvvido burattino seppellisce le cinque monete avute in dono da Mangiafuoco sotto un albero, convinto che in questo modo avrebbe potuto raccogliere oro. Nella città di Achiappacitrulli insomma, chiunque compia azioni sconsiderate sotto la promessa del facile guadagno si mette soltanto nei guai. Lo so cosa diranno adesso i miei piccoli lettori: ma se la mia rabbia sale, istigata da bugie create al solo scopo di farla salire io produco traffico e interazione, che non è certamente una buona azione, ma non mi ficco in nessun guaio.
Torniamo alla nostra parola dell’anno, rage bait. E a quello che scriveva Elsa Morante a proposito di disintegrazione. Forze oscure, alle quali prima o poi sarebbe bene dare un nome e un cognome, si applicano senza requie perché la rete – e dunque il mondo, dal momento che ormai peschiamo tutto da lì, da quella infinita paranza – diventi un luogo spaventoso. Dove pezzi di realtà vengono cuciti a caso per creare pupazzi che chiamiamo verità. Mostri, come quello costruito da Frankenstein, attivando i quali compiamo un crimine contro l’umanità. Quindi non è vero che quel rage bait sia un incubo solo per chi lo subisce, per chi diventa il bersaglio di quella rabbia, ma per l’umanità intera.
Chi, come uno scellerato Pinocchio, cade nella trappola e si unisce al sabba col suo cerino acceso per dar fuoco alla sterpaglia e alimentare l’incendio, non ne uscirà innocente. Ne riceverà indietro una montagna di guai. Anche solo per il fatto che al posto del bosco, dopo che tutto è bruciato, non resta che terra arida, nera, inservibile. L’Oxford Dictionary, che giustamente fa il suo mestiere di dizionario e non ci spiega come dovremmo vivere ma ci indica come lo stiamo facendo, quest’anno dice una cosa semplice: la rabbia è diventata il sentimento più appiccicoso, più spendibile, più efficace per creare consenso. La gentilezza, per quanto goda di ottima stampa, non è affatto contagiosa. La tolleranza, la misericordia, il rispetto per l’avversario, persino la pacata discussione non fanno proseliti e non portano né interazioni né voti.
Ci possiamo sgolare quanto vogliamo per spiegare che a parole d’odio rispondono parole d’odio, che è ora di abbassare i toni, che non serve un premier che urla ma un premier che si confronta, parla, spiega e, possibilmente, lavora per un Paese dove le diseguaglianze diminuiscano. Fintanto che il nostro obiettivo sarà addormentarsi sotto un albero e svegliarsi la mattina convinti di poter cogliere monete d’oro dai rami, sarà la rabbia il sentimento che dovremo andare a cercare, che dovremo alimentare, scovare anche dove non c’era. E questo per quanto riguarda la rabbia.
Ma non dimentichiamo che l’espressione scelta dall’Oxford Dictionary è rage bait, e bait significa esca. Passiamo il tempo credendo di essere furbissimi, di aver scovato complotti, strati di verità che qualche misteriosa entità ci teneva nascosti, ma non siamo altro che pesciolini presi all’amo da pescatori senza scrupoli.