Corriere della Sera, 2 dicembre 2025
Ong e tagli, resistenza a oltranza
Fame e povertà crescono in tutto il mondo soprattutto per le crisi causate da guerre e disastri ambientali. Le Organizzazioni non governative (Ong) italiane impegnate in aiuto allo sviluppo e interventi umanitari crescono anno dopo anno e intensificano le attività anche in Italia. Ma temono gli effetti dei tagli decisi dai governi: quello italiano è tra i pochi ad aver mantenuto più o meno stabili i finanziamenti, mentre gli Usa li hanno già ridotti per il 2026 – valevano il 40% a livello globale – e hanno smantellato UsAid, l’Agenzia per lo sviluppo internazionale. Tuttavia anche in Europa i tagli sono diffusi.
Open cooperazione è un portale che con i dati di quasi tutte le Ong fa ogni anno un quadro complessivo della cooperazione allo sviluppo italiana. «Il settore continua a crescere – commenta il suo curatore Elias Gerovasi – ma deve confrontarsi sempre più con scenari in cui intervengono altri soggetti, dal privato al mondo della ricerca, e che vuole mettere sempre più al centro gli attori del Sud globale. Non c’è solo la società civile, come dimostra anche il Piano Mattei, programma di diplomazia economica dell’Italia che utilizza fondi già esistenti per l’Africa».
La somma dei bilanci delle Ong italiane supera la cifra di 1,4 miliardi di euro, equivalente a settori produttivi come quello degli spumanti, del gelato italiano o del design. Il 58% delle risorse arriva da enti pubblici, il 42% da donazioni private grazie anche a 2 milioni di donatori attivi. «Numeri importanti – sottolinea Gerovasi – ma a livello globale c’è la volontà di stringere la cinghia mentre le organizzazioni multilaterali sono sempre più messe in discussione». Il mondo della richiesta di donazioni è sempre più affollato, ma solo chi investe in modo strutturale sulla raccolta fondi cresce. Vedi i dati sulle grandi Ong: l’80% delle entrate sono raccolte da 20 realtà. Le prime dieci sono Save the Children, Fondazione Avsi, Intersos, Medici Senza Frontiere, Coopi, Emergency, Unicef Italia, WeWorld, Medici con l’Africa e ActionAid. Quelle piccole più o meno resistono grazie al volontariato, le medie hanno i maggiori problemi. «Cercano di resistere alla crisi – aggiunge Gerovasi – ma mostrano difficoltà a garantirsi una sostenibilità economica. Tutte stanno cercando di capire come rafforzarsi, provando anche la strada di fusioni o partenariati strategici, ma con grandi difficoltà perché sono operazioni complicate in un settore che conserva una forte base ideale».
Il continente dove sono più attive le Ong italiane è l’Africa che ospita il 48% dei progetti, ma anche quelli in Italia sono cresciuti del 40% negli ultimi 5 anni specie nei settori della povertà educativa, dell’assistenza ai rifugiati e delle nuove povertà. «Una tendenza consolidata: sono settori dove non ci si improvvisa – prosegue Gerovasi – e nei quali le Ong hanno trovato spazio per rispondere a bisogni emergenti». In Italia o all’estero non vogliono fermarsi, ma c’è un timore diffuso per i tagli globali.
«Noi ci occupiamo di interventi umanitari – racconta Kostas Moschochoritis, direttore generale di Intersos – e operiamo in contesti in cui la situazione sta peggiorando: nuove guerre, bisogni che crescono. Ucraina e Gaza sono i due esempi più noti, il Sudan vive la peggiore crisi esistente a livello mondiale. L’Italia è un’eccezione in un contesto di tagli drastici e speriamo che continui così. Anche perché aiutare le popolazioni è sempre più difficile: pur essendoci le risorse è complicato, anche per blocchi di natura amministrativa, avere accesso alla popolazione».
«Il sistema ha avuto resilienza e capacità di diversificare – spiega Marco Bertotto, direttore di Medici Senza Frontiere – ma tutti ci aspettiamo un impatto negativo già dal 2026. In un settore che già prima sentiva un gap fra bisogni e capacità di rispondervi». I dati di Open cooperazione dimostrano che quello della cooperazione allo sviluppo è un settore sano, ha fatto investimenti, si è professionalizzato. Corrono oggi più rischi per il futuro soprattutto le organizzazioni che dipendono dai fondi pubblici. «Noi da anni – aggiunge Bertotto – abbiamo fatto una scelta di campo netta, la percentuale di aiuti pubblici è minima, meno del 2%, e in Italia siamo sostenuti al 100% dai privati».
Pur agendo con forza, le Ong soffrono lo scarso riconoscimento politico. «È un sistema che innova, costruisce soluzioni insieme con gli attori locali – afferma Giovanni Lattanzi, presidente di Aoi, l’associazione Ong italiane – e spesso anticipa i bisogni. Allo stesso tempo però emerge una distanza evidente tra ciò che la cooperazione è chiamata a fare e il riconoscimento politico che effettivamente riceve. La sfida è far comprendere che non è un settore marginale, ma una parte essenziale della presenza internazionale dell’Italia».