Corriere della Sera, 2 dicembre 2025
I duri dell’«Aska», scontri e raid dai cantieri Tav alla «Stampa»
Dopo il raid alla redazione de La Stampa, con sospetti su militanti di Askatasuna, il centro sociale antagonista torinese e punto di riferimento dei movimenti sociali e ambientali, accusato dai pm di essere culla dell’eversione, il clima è più teso che mai. Dal Comune assicurano di non aver ricevuto alcun atto dal Viminale, ma colpisce la fermezza con cui il sindaco Stefano Lo Russo, che punta sulla «regolarizzazione» dell’ex scuola occupata trasformandola in «bene comune», risponde alle pressioni del governo per lo sgombero. «Dal 1996 a oggi neppure i governi di centrodestra hanno sgomberato Askatasuna. Stiamo lavorando a restituire l’immobile alla cittadinanza. Se altre autorità, con elementi che noi non abbiamo, decidono di procedere, siamo pronti a fare un passo indietro. Ma è ingenuo pensare che questo risolva la situazione, soprattutto con chat criptate e nuovi mezzi di comunicazione».
La minaccia di sgombero è una costante nella storia del centro sociale, ancora prima della sua nascita ufficiale. Alla fine degli anni Ottanta, con la fine del terrorismo e del movimento operaio, si diffonde il fenomeno delle case occupate da anarchici e punk. Nasce pure un piccolo nucleo legato all’autonomia operaia, ispirato soprattutto al Leoncavallo di Milano. Nel 1989, quando il centro meneghino viene sgomberato e riappaiono le molotov, a Torino si decide di «invadere» una scuola vicino al centro, dove oggi sorge Askatasuna. Dopo lunghe trattative con il Comune, l’edificio comunale è liberato in cambio di uno spazio ai Murazzi, dove nascerà il Csa. E qualcosa di più.
Lo spazio sul Po diventa epicentro culturale: sul suo palco si muove un movimento musicale simbolo della Torino di fine secolo capace di scalare poi le classifiche con i Subsonica, ma anche fondamentali relazioni internazionali. Suonano gruppi baschi, rafforzando la fascinazione verso la lotta popolare di «Euskadi Ta Askatasuna» e le battaglie dell’Eta. Così forte che il nome Askatasuna, che in basco significa «libertà», è scelto nel 1996, quando da un corteo studentesco autorganizzato un gruppo di ragazzi rioccupa l’ex asilo comunale. È l’inizio della storia.
Negli anni successivi si rafforza il legame con i movimenti universitari, fino all’Onda studentesca, ma è il G8 di Genova a diventare spartiacque. Le «tute bianche» del Leoncavallo o del Pedro di Padova scelgono la disobbedienza, mentre quelli dell’Askatasuna coltivano il mito della lotta anche nel nuovo secolo. Se altri spazi occupati a Torino, come il «disobbediente» Gabrio, lanciano i vermi per fermare la presentazione di un libro sulla Repubblica di Salò, quelli dell’«Aska» sfilano nei cortei e si scontrano con la polizia. Nel 1999, durante il primo maggio, criticando la sinistra che non si oppone ai bombardamenti su Belgrado, provano a prendere la testa della Festa dei lavoratori. La risposta delle forze dell’ordine è durissima ed è raccontata in un documentario, Rosso Askatasuna, con i militanti sul tetto per impedire lo sgombero. Da allora sempre in prima linea nelle manifestazioni antifasciste, nei picchetti contro gli sfratti e soprattutto in Val di Susa, nella lotta No Tav che fonde l’ambientalismo dell’antinucleare e il mito della resistenza popolare. Si guarda alle lotte internazionali. Oggi come ieri. Su Infoaut Giorgio Rossetto, uno dei leader storici, spiega: «L’Intifada palestinese è lo scontro di massa tra giovani ed esercito. Dopo anni di pacifismo e non violenza, ha contribuito a costruire l’immaginario di uno scontro reale, ampio, radicale e capace di creare consenso». Una lotta che si fa anche nei tribunali, tra condanne e assoluzioni. Come nel marzo 2025, quando il giudice respinge la tesi che Askatasuna sia un’organizzazione criminale strutturata. La sentenza è accolta tra grida e applausi e una rivendicazione: «Siamo un’associazione. Ma a resistere»