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 2025  novembre 30 Domenica calendario

Ale e Franz: "Abbiamo un unico obiettivo Far ridere in totale leggerezza scardinando gli eccessi del politicamente corretto"

«Ci sentiamo un po’ la coscienza storica di Zelig. Il ponte tra le nuove generazioni e quelle che ne hanno fatto la storia. E questo ci riempie di orgoglio». Ale (Alessandro Besentini) e Franz (Francesco Villa), irresistibile coppia comica di lungo corso, 25 anni dopo tornano a calcare un palcoscenico che conoscono bene, quello di Zelig. Ma in una versione rinnovata che punta tutto sul lancio di nuovi talenti della risata, Zelig On. Condotto da Paolo Ruffini e Lodovica Comello, va in onda da domenica 23 novembre su Italia 1, la rete che nel 1999 lanciò Facciamo cabaret, lo show da cui avrebbe avuto origine la lunga cavalcata televisiva di quel fortunato brand dell’intrattenimento Mediaset.
«Come quel programma fu l’incubatore di un genere che fece tendenza e lanciò tanti artisti, così Zelig On potrebbe essere (anzi: sarà) l’inizio di una rinascita», assicurano. Loro c’erano allora e ci sono oggi: il cambiamento lo sentono nell’aria.
Prima di arrivare allo show tv vero e proprio, avete fatto serate di prova sul piccolo palco dello Zelig Cabaret: come è stato tornare nel luogo dove tutto è cominciato?
Ale «È stato tornare a casa. Respirare un’aria ben nota. Un vero e proprio salto nel tempo. Eravamo giovanissimi, poco più che ventenni».
Franz «Ci eravamo conosciuti lavorando in uno stesso spettacolo in un teatro off milanese». A. «Ci fummo subito simpatici e continuammo a frequentarci».
F. «Figura determinante nella nostra storia fu Paola Galassi, che aveva già lavorato con Bisio e AGG: ci presentò a Natalino Balasso, che teneva dei laboratori in un locale dalle parti di Malpensa. E sempre lei ci portò a fare un provino con Giancarlo Bozzo, già allora anima di Zelig e scopritore di talenti. È così che si forma la nostra coppia».
Foste subito onnipresenti.
F. «Debuttammo nel “Seven Show”. Era il...’95...’96? (confabulano tra loro sottovoce, ndr). Comunque: neppure due anni dopo ci presero a Facciamo cabaret, al Pippo Chennedy Show e a Mai gire gol. Per il pubblico eravamo ancora degli illustri sconosciuti, ma il nostro nome aveva cominciato a “circolare” nell’ambiente. Erano anni di grande fermento nel campo della comicità».
Programmi tutti di successo ma diversissimi.
A. «Ognuno con una sua specificità: Rai3 e la tv della satira; la Gialappa con la sua comicità televisiva in purezza, in studio; Zelig e la comicità da palco. Tu potevi scegliere dove ti trovavi meglio. Per noi a inizio carriera il meglio fu certamente Zelig2: il pubblico e le telecamere, spesso più spettacolo dal vivo, cioè teatro, che tv».
F. «Erano programmi con un’identità forte, quella dei loro ideatori: Dandini e Guzzanti, la Gialappa, Giancarlo Bozzo con Gino e Michele. Bozzo continua a perseguire il suo sogno. La Gialappa è geniale ancora oggi: è anche il loro successo che fa pensare che sia in corso un nuovo ciclo comico».
E oggi? In “Zelig On” vi hanno messo nel backstage a incontrare i nuovi talenti prima della loro esibizione (un po’ come Giorgia a “X-Factor"). Impressioni?
A. «Abbiamo sentito un bel clima. La sensazione è di un gruppo affiatato che molto ci ha ricordato quello in cui iniziammo ormai quasi 32 anni fa».
F. «È in corso un interessante ricambio generazionale. Davvero, un po’ ci rivediamo in loro: il fiato che ti manca e la saliva pure. L’entusiasmo e l’inconsapevolezza, l’incoscienza e l’innocenza di chi è mosso da una sola preoccupazione: far ridere».
Un confronto tra ieri e oggi?
A. «Premessa: i laboratori che questi ragazzi hanno fatto con Bozzo hanno dato loro la capacità di uscire dall’ambito del web, dove molti hanno mosso i primi passi, per confrontarsi con il palco e la tv, di avere un diverso modo di scrivere e presentarsi. La tv è un vortice, devi essere preparato».
F. «I social e le piattaforme hanno ridisegnato il sistema audiovisivo, a partire da intrattenimento e comunicazione. Quando abbiamo iniziato noi c’era un’altra televisione, nel suo momento d’oro. Le reti investivano e non avevano rivali. Non era più il mondo Studio Uno e Kessler, per intenderci, ma la tv continuava ad avere un ruolo centrale. Basta pensare agli ascolti di Zelig a inizio anni 2000 e all’importanza dell’intrattenimento».
Ponte tra le generazioni. E poi, cos’altro?
A. «Siamo i disturbatori fissi. Faremo sketches nuovi, scritti apposta. E tra i nostri classici solo “La panchina”. Ma rivisitata e rinnovata, anche con l’inserimento di un terzo incomodo, letteralmente messo in mezzo: invece del nostro solito ping pong, una carambola. Abbiamo provato con Paolo Ruffini ed è stato molto divertente, anche perché ci conosciamo: veloce nella replica, c’è la confidenza di poterlo mettere in imbarazzo anche con battute che lui non si aspetta. Ma non sarà l’unico».
31 anni insieme, e non sentirli?
F. «Il segreto è divertirsi. E noi continuiamo a farlo. C’è la voglia di giocare, che significa anche lasciare spazio all’improvvisazione. All’inizio eravamo molto più rigorosi verso il copione, ci tenevamo a far risaltare il testo, mentre ora ci sentiamo liberi di divagare e rischiare. Certo, dopo tanti anni il rischio di qualche ripetizione è sempre in agguato, ma abbiamo buona memoria. Il pericolo, semmai, è di trovarsi a pensare sempre nello stesso modo. Per questo abbiamo con noi collaboratori che ragionano in modo diverso».
Anche per questo è importante il pubblico?
A. «Il teatro è il nostro posto ideale. E il pubblico il nostro termometro. Non rinunceremo mai. Eravamo partiti da quel sogno e abbiamo sempre continuato a coltivarlo. Non potremmo mai non fare spettacoli dal vivo, che siano piazze, teatri o locali più piccoli. Con l’anno nuovo ripartiremo in tournée con un nuovo show, Capitol’ho (debutto a Bologna il 23 gennaio, a Torino all’Alfieri in primavera)».
F. «Abbiamo un cassetto pieno di nuove cose. E un unico obiettivo: far ridere in totale leggerezza. Pensiamo che ce ne sia molto bisogno in un momento così pesante e complesso».
Rifareste oggi, come nel 2022, un altro “Ale e Franz for Ucraina”?
F. «Certo, subito. Era pensato per aiutare gente in guerra. I bambini soprattutto. A prescindere dalla bandiera. Abbiamo anche creato la onlus Ale e Franz & Friends».
Il politicamente corretto ha cambiato il vostro lavoro?
F. «Ha posto dei limiti. In alcuni casi, però, giusti. Di fatto, lo abbiamo sempre praticato: mai scherzato sulle malattie, morigerati nella parolaccia. Anzi: sentiremmo di dover cambiare mestiere, se dovessimo usarla per strappare una risata. Non crediamo si possa ridere di tutto. Tuttavia, è vero che quei paletti sono diventati eccessivi fino a far snaturare il concetto stesso di politicamente corretto».
A. «È un tema su cui ci siamo confrontati a lungo. E siamo assolutamente d’accordo. Tant’è che non abbiamo battute di cui ci siamo pentiti a posteriori».
F. «Per schivare ogni gabbia del politicamente corretto, d’altronde, basta una semplice filosofia: non ridere di, ma ridere con».