La Stampa, 30 novembre 2025
Minacce, scritte e fumogeni Sono 34 i denunciati per l’assalto a La Stampa
Il grido si alza tra i fumogeni blu e rossi usati per schermare la visuale alla Digos e alle telecamere del nostro giornale. «Ti uccido giornalista». Pochi secondi e c’è un bis: «Giornalista ti ammazziamo». La porta del bar de La Stampa, in via Lugaro 15, a Torino, viene divelta a calci. Un occhio elettronico salta strappato via con le mani dai manifestanti. Dentro c’è silenzio: il giornale è quasi vuoto per lo sciopero nazionale sul rinnovo del contratto. Fuori le urla vanno avanti. Finché un gruppo di manifestanti, con passamontagna per coprirsi il viso, giubbotti e pantaloni neri per non essere identificati, entra dentro. L’occupazione dura diversi minuti. Poi escono fuori correndo e scavalcando i cancelli, al grido «Free Palestine».
Sono 34 i giovani denunciati dalla Digos di Torino. I reati: danneggiamento, imbrattamento, invasione di edificio privato e violenza privata. Sono esponenti di Askatasuna, si è detto nel Comitato per l’ordine e la sicurezza. Alcuni di loro aderiscono ai collettivi Ksa (Kollettivo studentesco autonomo) e Cua (Collettivo universitario autonomo) molto vicini al centro sociale di corso Regina Margherita. Solo otto di loro non hanno precedenti di polizia. Tutti gli altri sono già stati denunciati o attenzionati nei disordini davanti alla Leonardo, alla Città metropolitana e, ancora prima, al corteo per Ramy Elgaml. Tra i nomi c’è anche quello del sedicenne che, lo scorso ottobre, era stato ammanettato davanti al liceo Einstein, durante gli scontri tra studenti di sinistra e destra: aveva colpito con calci e pugni due agenti.
L’inchiesta della procura, guidata da Giovanni Bombardieri, è solo all’inizio. Decine di fotogrammi sono al vaglio degli investigatori e, con ogni probabilità, i denunciati saliranno a 70, forse 80, nei prossimi giorni. Le immagini immortalano la scansione dell’assalto che per chi indaga non era né imprevisto né imprevedibile: era pensato, voluto e immaginato. Il corteo pro Palestina che da via Nizza inizia a correre verso la sede del nostro giornale, imboccando via Rosmini, indica che l’obiettivo dei manifestanti era stato raggiunto. L’assalto è facile, in una strada completamente deserta: non ci sono protezioni davanti all’ingresso, il presidio degli agenti del Reparto mobile, che in passato era quasi una costante, l’altro giorno non c’era. Ci sono gli investigatori che filmano, ma manca chi impedisce l’assalto.
A forza gli incappucciati svicolano e forzano una porta taglia-fiamme, strappano le scorrevoli a vetri e sono dentro. Ci sono poi altre entrate forzate in una corsa verso la redazione. Ed è come se chi è arrivato tra le nostre scrivanie sapesse dove andare, quante uscite sfondare e che direzione prendere. Scrivono sui muri “Free Shahin”, strappano pile di giornali. E chi resta fuori rovescia il letame e imbratta i muri: «Giornalisti complici». Dal megafono c’è chi continua a incitare per tutto il tempo. Sono due dei leader di Askatasuna che guidano l’assalto: personaggi noti di una galassia che insegue lo scontro, che vuole distruggere, minacciare. Poche settimane fa un giudice del tribunale di Torino li ha definiti così: «Pericolosi, inaffidabili sulla possibilità dall’astenersi nel commettere nuovi delitti, incapaci di rispettare le basilari regole della convivenza civile». E ancora: «Hanno assunto da tempo un ruolo di primo piano nelle mobilitazioni di piazza, gestendole sempre con l’obiettivo di innalzare il livello dello scontro e della tensione facendo degenerare manifestazioni pubbliche in atti di violenza».
Sono gli stessi dell’assalto all’Ogr, le ex officine grandi riparazioni, trasformate nel tempio della tecnologia e dell’arte, che ospitavano l’Italian Tech Week. Gli stessi dei lanci di pietre contro la sede della Leonardo e del corteo di solidarietà per Ramy, finito con l’assalto a un commissariato e una caserma. Quanto accaduto a La Stampa è solo l’ultimo episodio di un’escalation di violenza. I manifestanti motivano l’assalto al giornale con un’asserita, quanto inesistente, linea del quotidiano contro Mohamed Shahin, l’imam della moschea di via Saluzzo destinatario di un provvedimento di espulsione firmato dal ministro dell’Interno Matteo Piantedosi. Ma tra gli investigatori nessuno crede che sia tutto qui. Chi dall’altro ieri indaga su quanto accaduto sa bene che l’escalation antagonista, targata Askatasuna e collettivi studenteschi, va ben oltre e punta a un simbolo che La Stampa rappresenta. È una stagione complessa. Non tutte le strategie di questi universi sono leggibili nell’immediato, ma è ferma negli inquirenti la volontà di ricostruire tutte le responsabilità.