repubblica.it, 30 novembre 2025
Brexit, “il complotto” di Starmer per annullarla
Il “complotto del Labour per annullare la Brexit”. Il quotidiano conservatore Daily Telegraph titola così e ne è convinto. Il primo ministro britannico Keir Starmer e i suoi più stretti collaboratori starebbero pianificando un estremo riavvicinamento all’Unione Europea. Non solo il cosiddetto “reset”, ossia i recenti sforzi di Starmer per appianare le asperità commerciali tra i due blocchi dopo il referendum del 2016 che sancì l’uscita di Londra dalla Ue, ma un lento rientro nell’unione doganale europea. O, addirittura, un clamoroso ritorno nel cuore dell’Unione.
“Repubblica” ha scritto in passato di simili piani, o perlomeno tentazioni, da parte di Starmer e del Labour. Addirittura, il suo fidatissimo biografo e amico Tom Baldwin ci disse in una intervista che una soluzione per il primo ministro sarebbe proprio tornare nell’unione doganale.
Frasi che scatenarono agitazione a Downing Street, che smentì, oltre a successivi messaggi di Baldwin che sostenne con noi di essersi “espresso male”. Invece, anche il Telegraph scrive ora che “gli europeisti del partito stanno cercando di convincere Sir Keir Starmer a impegnarsi a rientrare nell’unione doganale dell’Ue. Alcuni pensano persino che un secondo referendum sull’appartenenza all’Unione Europea sarebbe una buona idea”.
Certo, altri a Number 10 “sono inorriditi dalla proposta, sostenendo che ciò alienerebbe gli elettori della working class che hanno votato Leave nel 2016, spingendoli così verso Nigel Farage e il suo partito di destra Reform UK”. Eppure, continua il quotidiano conservatore, “gli eurofili sembrano in ascesa e ritengono che la mancanza di crescita prevista nell’ultima legge di bilancio di mercoledì scorso rafforzi la loro posizione. Per loro, rientrare nell’unione doganale – o persino nell’Ue – darebbe impulso all’economia e garantirebbe quella crescita che il governo Starmer indica come la priorità numero uno”.
Un anonimo alleato di Starmer afferma come il primo ministro sia oramai convinto della necessità di legami più stretti con l’Ue dopo la decisione di Donald Trump di tagliare gli aiuti all’Ucraina e imporre dazi ai principali partner commerciali: “Quando sembrava che Trump volesse ritirare il sostegno a un Paese al confine dell’Ue, si è creata una crisi esistenziale”, dice la fonte, “se cerchi un partner economico stabile, Trump ha dimostrato di non esserlo. Ci ha costretti a rivolgerci verso l’Ue, e loro verso di noi”.
Secondo il Telegraph, il fronte europeista è guidato da Tim Allan, nuovo capo delle comunicazioni a Downing Street, il suo precedessore Alastair Campbell (negli anni di Blair) e proprio il biografo di Starmer, Tom Baldwin. Da quando Allan è arrivato al Numero 10, in effetti, la comunicazione del governo sulla Brexit è stata ribaltata: dal non menzionarla affatto al darle la colpa di diversi mali del Paese. Lo stesso Starmer sostenne pubblicamente un secondo referendum quando era ministro-ombra per la Brexit, prima delle elezioni del 2019 stravinte dal brexiter Boris Johnson.
Brexit, disastro economico e nei sondaggi
Del resto, i sondaggi parlano chiaro: una chiara maggioranza dei britannici rinnega e depreca la Brexit, e vorrebbe tornare in Ue. Allo stesso tempo, secondo una recente analisi della House of Commons Library del Parlamento commissionata dal partito Liberal-democratico britannico, il Regno Unito sta perdendo 250 milioni di sterline al giorno in entrate fiscali (circa 290 milioni di euro) a causa dell’impatto economico della Brexit. Stando allo studio, “la Brexit ha aperto un buco nero di 90 miliardi di sterline l’anno (poco più di 100 miliardi di euro) nei conti pubblici”.
In un chiaro riferimento all’accordo di uscita dall’Ue, il ministro per le relazioni con l’Unione Europea Nick Thomas-Symonds ha detto al settimanale conservatore Spectator: “Con l’Unione Europea abbiamo probabilmente l’unico accordo commerciale nella storia che ha alzato barriere, quindi stiamo cercando di abbassarle. Così come abbiamo scelto come nazione sovrana di firmare un accordo con l’India o con gli Stati Uniti, stiamo scegliendo di allinearci con un’altra giurisdizione come quella europea”.
Rientrare nell’Ue è considerato comunque un obiettivo improbo. Ma, in un eventuale secondo mandato per il Labour e per Starmer (seppur già in bilico), ritornare nell’unione doganale europea viene considerata dagli eurofili come un obiettivo più realistico. Ma questo scenario, che abbatterebbe dazi e controlli doganali, non darebbe alcun potere decisionale al Regno, che dunque non potrebbe più stringere accordi commerciali con altri Paesi fuori dall’Unione doganale Ue.
Un alto deputato laburista avverte però al Telegraph: “C’è un dibattito attivo a Downing Street sul fatto che bisognerebbe inserire nel prossimo programma di governo l’obiettivo di rientrare nell’unione doganale. Sarebbe un passo oltre il lento ritorno al quadro regolatorio dell’Ue. Ma secondo me sarebbe un errore enorme. Renderebbe le prossime elezioni – che già saranno molto difficili – ancora più complicate, perché gli elettori tradizionali del Labour che votarono per la Brexit difficilmente tornerebbero se questo fosse un impegno da manifesto”.
Ma c’è chi si oppone comunque a questa nuova deriva europeista. Come Morgan McSweeney, il controverso ma potentissimo “rasputin” di Starmer recentemente accusato di infangare alcuni ministri dell’esecutivo e che presto potrebbe essere rimpiazzato proprio da Baldwin come capo dello staff. McSweeney resta convinto che il Labour possa mantenere il potere solo riconquistando gli elettori tradizionali che votarono Brexit e che ritengono il partito troppo morbido sull’immigrazione. Della stessa idea anche la ministra dell’Interno, e pretendente a Downing Street, Shabana Mahmood.
Molte cose potrebbero cambiare con le elezioni locali del prossimo maggio. Quando il Labour potrebbe subire un’altra scoppola epocale. Allora Keir Starmer potrebbe clamorosamente cadere a due anni dal suo trionfo elettorale e molti scenari potrebbero stravolgersi. Una cosa però è certa. Il favorito a succedergli è un europeista di ferro. Ossia il 42enne ministro della Salute, Wes Streeting, che proprio di recente ha dichiarato: “Sono felice che la Brexit sia un problema di cui ora osiamo pronunciare il nome”.