la Repubblica, 30 novembre 2025
Contrordine, gli studenti sanno ancora scrivere: la prova in 50 anni di temi
La vulgata dice così: i ragazzi scrivono male, anzi malissimo, temi che sembrano telegrammi, compiti lunghi quanto un tweet, infarciti di “bro”, “flexo”, “non skillare”. Ah, i bei tempi andati. Ma è davvero così? Cioè la domanda, saltata in mente all’editore Zanichelli che registra da più di un secolo le evoluzioni della lingua italiana, è: come scrivevamo e come scriviamo? Che ricorda l’ironico “guardate com’eri, guardate come sei” di Compagni di scuola. La risposta, rigorosissima, è che la scrittura è invecchiata meglio di Fabris, il personaggio del film di Verdone. E a darla è una ricerca, finanziata dalla casa editrice e realizzata dal dipartimento di Filologia classica e italianistica dell’università di Bologna, i cui primi risultati saranno presentati il 3 dicembre davanti a una platea di insegnanti che metterà i numeri in fila con l’esperienza.
«Come custodi della lingua italiana ci interessava conoscere in base a evidenze scientifiche cosa accade davvero in classe», spiega l’amministratore delegato di Zanichelli, Giuseppe Ferrari.
E dunque ripartiamo dalla domanda, anzi le domande: com’è cambiata la competenza di scrittura degli studenti dalla fine degli anni Sessanta a oggi? Cosa è rimasto stabile? E cosa si è modificato nel tempo? E come misurarlo?
Ferrari ha pensato così che le scuole da qualche parte devono per obbligo conservare i compiti dell’esame di Maturità. Così, dagli armadi polverosi e dagli archivi ancora integri di sedici istituti scolastici, sia licei sia tecnici, sparsi in sette regioni del Nord, del Centro e del Sud, sono spuntati 3.300 temi scritti in quasi mezzo secolo, tra il 1967 e il 2012. Su quei faldoni, arrivati dentro grandi scatoloni, classificati, scansionati, trascritti uno a uno e riletti, i ricercatori dell’Unibo – un team di borsisti, tirocinanti, laureandi e studenti volontari guidati dal professor Matteo Viale – si sono messi al lavoro tre anni fa.
«I risultati sono stati meno attesi del previsto, ci ha stupito la permanenza rispetto ai cambiamenti», racconta Viale. «C’è stata, è vero, una semplificazione della scrittura: frasi più brevi, modifiche della sintassi e compiti più corti». Almeno una colonna di fogli protocollo in meno, hanno contato. Questo però accade soprattutto a partire dal Duemila quando anche l’esame di Stato, dopo la riforma Berlinguer che ha introdotto nuove forme stilistiche per la prima prova, è cambiato. «La scrittura diventa più comunicativa – ragiona Viale – e meno scolastica. Ma non c’è quel crollo verticale delle competenze ventilato».
I cambiamenti, insomma, non sono traumi. «L’indice di leggibilità (si chiama Gulpease e misura la lunghezza media delle frasi e delle parole) è aumentato nei decenni, segno indiretto di una scrittura meno complessa dal punto di vista lessicale e sintattico, ma con una variazione di pochi punti (da 47 a 51)», sottolinea Viale. Ancora: la lunghezza delle frasi è passata dalle 30 parole a periodo degli anni Sessanta alle 22 del 2012. «Più paratassi e meno ipotassi», spiega in gergo tecnico Viale. «Una maggiore semplicità che però non è detto sia una male e misura un cambiamento stilistico, neppure così forte».
C’è un altro indicatore (il type/token) che misura la varietà lessicale di un testo, e cioè quanti vocaboli diversi sono stati usati. Anche qui, a parità di lunghezza, lo scarto tra passato remoto e recente è minimo. Pure lo strumento (il Read-it) che misura le parole del vocabolario di base e quelle più raffinate non ha subito grandi oscillazioni nel tempo.
«Significa che almeno davanti al tema di Maturità, la scrittura studentesca non si è impoverita. I ragazzi sono consapevoli del contesto in cui scrivono: non una chat ma un compito istituzionale. Certo, negli anni Sessanta e Settanta la scrittura era più ingessata, poi si è sciolta, è diventata più libera. E questo ha prodotto qualche errore in più».
La ricerca di Chiara Lanzoni, studiosa dello stesso dipartimento di Unibo, si è concentrata proprio sugli errori lessicali, anche questi abbastanza costanti nel tempo. L’“inclinarsi” di un rapporto, anziché l’“incrinarsi”, è refuso comune a tutte le generazioni. Quanto alle cosiddette “parole spia”, ce ne sono alcune in disuso e altre emerse. Tra “sebbene” e “nonostante”, la prima è caduta in disgrazia, la seconda l’ha spuntata.
«Il prossimo anno – promette Ferrari – questo corpus verrà messo a disposizione della comunità scientifica e il lavoro continuerà, allargando magari gli anni di studio e le materie d’indagine». Scoprendo così cos’è successo alla grafia e dopo il dilagare dei social.
Intanto «questi primi risultati sono una bella notizia: se nel 1967 solo il 26,8% dei diciottenni sosteneva l’esame, nel 2012 era il 77%. Significa che la scuola ha retto l’urto della scolarizzazione di massa. Si può migliorare, insegnare a dar forma a un testo, ma la scuola – per Ferrari – ha fatto bene il suo mestiere».