corriere.it, 30 novembre 2025
«Mi chiamo Elena Di Cioccio e sono sieropositiva da 23 anni: com’è difficile spiegare in camera da letto che non sono più contagiosa»
«Ho cominciato a parlarne nei laboratori».
Laboratori teatrali con gli studenti?
«Macché. Per “laboratori” intendo birrerie, ristoranti, posti in cui si fa stand up e ti danno un microfono per cinque minuti. Sei lì, fai il tuo pezzo, la gente beve, mangia e magari non ti fila. Ricordo una volta a Paderno Dugnano: quello prima di me faceva battute sul suo peso, quello dopo sul suo cane. In mezzo io: ciao, mi chiamo Elena Di Cioccio, sono sieropositiva».
Diretta.
«Da lì parto, all’attacco. Ragazzi – durante l’intervista si rivolge a un immaginario pubblico – dovreste vedere le vostre facce. Quando dico che convivo con l’Hiv le reazioni sono due. Chi mi compatisce (poverinaaaaaaa), chi si gela come voi: occhi spalancati, frizzati che nemmeno in Frozen. Immaginate cosa mi tocca in camera da letto: “Caro ti devo dire una cosa...”. Dunque eccomi lì, vestita o no, tra le coperte, con lui a cliccare il sito del Ministero della salute: un-paziente-negativizzato-non-è-contagioso. Addio pensiero sexy».
Elena Di Cioccio, attrice, comica, volto tv (già inviata di punta delle «Iene»), milanese di San Siro adottata dai Navigli, nel 2023 con il libro Sangue cattivo ha rivelato di essere sieropositiva da quando aveva 28 anni (ne ha 51). Adesso va oltre: sulla sua quotidianità ha imbastito uno spettacolo. «Venite perché si ride un sacco».
Come ci riesce?
«È il mio lavoro. Il comico parla di sé e questa sono io. Tutti abbiamo qualcosa di cui ci vergogniamo, che non va come vogliamo: ironizzare è un modo per disinnescare la fatica. Poi adoro essere il trauma altrui. Certo, questo è un debutto...».
Ma lei ha una lunga carriera.
«È la prima volta che faccio stand up parlando di me così, con un monologo a teatro».
Lo spettacolo ProPositiva 2.0 parte il primo dicembre da Bergamo e arriva il 17 dicembre ai Filodrammatici di Milano, «sarà una prova pazzesca. Ho sempre fatto tv o cinema. Sul palco a teatro, così, mai. Mi sono allenata – con i laboratori – dopo il 2023».
Cioè quando ha fatto coming out sulla malattia.
«Una liberazione. Non ho detto la verità quasi a nessuno per 21 anni, così facendo non ero davvero io. Poi è arrivato il Covid e mi sono trovata ferma a pensare, a non potere procrastinare. Durissima. Una botta. Buttavo giù pagine per me stessa, che poi sono diventate un libro».
In passato ha spiegato: «La sieropositività l’ho scoperta con un esame, facevo controlli periodici ma tra il test negativo e l’ultimo fidanzato qualcosa era andato storto». Era l’11 febbraio 2002, «mi sono buttata sul lavoro in radio e in tv: la sera tornavo a casa e mi stordivo, per non pensare».
Dopo avere raccontato di essere sieropositiva ha avuto ripercussioni sul lavoro?
«No, a parte il fatto che le tante cose in cui mi cimento sono state un po’ offuscate perché tutti mi chiedevano quasi solo della malattia. È il motivo per cui ho scelto di non rilasciare più interviste sulla mia storia».
Però la porta a teatro.
«Sì, come dico io. Così do anche una risposta alle 100 mila domande che tutti mi fanno sempre».
Tipo?
«Sei contagiosa? Ma i farmaci sono pesanti? Cliccate ministero della Salute».
Siamo disinformati.
«L’ha detto lei. Non siamo mai usciti dallo spot degli anni 80. Sa che c’è stato chi è chi è arrivato, dopo avere sentito uno dei miei pezzi, a interrogarmi: sta storia dell’Hiv su cui ridi è finta?».
Sui social come va?
«Mi sta chiedendo se ho degli hater? Un passaggio dello spettacolo è su quello che mi hanno scritto dopo che ho raccontato di essere sieropositiva. Non mi tangono: ho 51 anni e sono già stata da sola all’inferno».
Quando ha iniziato a fare l’attrice?
«Tardi, intorno ai 27 anni. Ho fatto il liceo linguistico e quando a casa dicevo che avrei voluto essere un’artista ho trovato opposizione (anche se la creatività è di famiglia, essendo figlia di Franz Di Cioccio, tra i fondatori della Premiata Forneria Marconi, ndr). Dunque ho fatto l’impiegata, lavoravo in ufficio e organizzavo eventi (in qualche modo stavo nel mondo degli show). Alla fine ho fatto di testa mia: mi sono licenziata e con la liquidazione ho studiato teatro. Ero troppo vecchia per le accademie quindi ho girato molto, seguendo corsi anche a New York».
A Milano dove vive?
«Sui Navigli, da quando i Navigli non erano i Navigli. A 19 anni mi sono trasferita da San Siro (il Monte Stella, il parco Baden Powell sono i miei luoghi amati) e la prima abitazione era un monolocale col bagno sul ballatoio. Mia madre ripeteva: non puoi vivere qui. E invece...».
Abita ancora lì?
«Ho venduto, mi sono trasferita a Roma per una decina d’anni, sono tornata nel 2020: il Covid mi ha fatto capire che la mia città, così organizzata, mi mancava».
Oggi come si sta a Milano?
«Bene. Però me lo faccia dire: sono parte di una generazione che la casa l’ha potuta comprare. Per chi non può, oggi, costruire e mettere radici qui è quasi impossibile».