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 2025  novembre 30 Domenica calendario

Cicerone rimpiazza i gesuiti

In questi giorni è uscito, presso l’editore Stilo di Bari, un testo rimasto finora inedito dell’illuminista pugliese Luigi Sagarriga Visconti (1726-1781) che racchiude le sue 46 lezioni sul De officiis di Cicerone. Il curatore e prefatore, oltre che editore critico, è il filologo classico Claudio Schiano, noto, oltre che per i suoi studi sulla geografia antica, anche per la cura di inediti di epoca bizantina.
Queste lezioni furono tenute presso il Regio Collegio di Bari nel 1769/1770. Dopo la cacciata dei gesuiti dal Regno di Napoli, per iniziativa di Antonio Genovesi appoggiata dal ministro riformatore Bernardo Tanucci, sorsero nel Regno – in luogo delle scuole gesuitiche – collegi laici (a Napoli, a Bari e altrove), nei quali disciplina di insegnamento fu, nell’ambito etico-giuridico, la «Dottrina degli Officj», pilastro di un’etica austera ma non confessionale. Proprio su questo punto è esplicito e perentorio il Sagarriga Visconti quando si rivolge agli scolari dicendo: «Gli Offici di Cicerone, come tante volte vi ho detto, sono un misto di jus naturale e di etica, e di galateo» (p. 449). Ed è appunto il richiamo al «diritto naturale» che fonda l’autonomia dell’etica rispetto alle diverse, particolari, confessioni religiose. Concezione di un «diritto naturale», argomentata nel secolo precedente da pensatori e giuristi quale Ugo Grozio, che nel secolo XVIII viene a coniugarsi senza forzature all’adozione di una fede «deista» che trascende le singole confessioni e che trova, ad esempio, espressione nella «preghiera» con cui Voltaire conclude il Trattato sulla tolleranza (1763). Ben sappiamo d’altra parte quanto a fondo il De natura deorum di Cicerone sia penetrato nel pensiero illuministico e di Voltaire in particolare.
Nel terzo volume del Dizionario filosofico (edizione integrata con le Questions sur l’Encyclopédie), Voltaire dedica a Cicerone una calorosa voce, al termine della quale si legge, in polemica con coloro che «disprezzano Cicerone», che quel contestato gigante della cultura antica non soltanto «introdusse per primo la filosofia in Roma», ma che le Tusculanæ e il De natura deorum «sono le due più belle opere che la saggezza, la quale non è che umana, abbia mai scritto», e che «il trattato De officiis è il testo più utile tra quanti testi abbiamo nel campo della morale» (p. 169). E va anche ricordato che la lacuna che sfigura la parte iniziale del III libro del De natura deorum (dopo il § III, 64) – colmabile in parte con alcuni accenni polemici di Lattanzio nelle Divinæ institutiones (II, 3, 2) – fu da lettori «volterriani» sospettata come effetto di censura cristiana. Sta di fatto che Lattanzio, pugnace padre della Chiesa, in quel passo attacca Cicerone per avere «accumulato argomenti antireligiosi (ad eversionem religionum)».
La forza di suggestione dell’etica «pagana» (in quanto autonomamente fondata) su di un pragmatico pensatore-vescovo cristiano è documentata dal riferimento costante di Ambrogio, vescovo di Milano, nel De officiis ministrorum, appunto al De officiis ciceroniano. Sagarriga Visconti commenta più volte questa interazione tra Cicerone e Ambrogio (pp. 85, 119, 380-381). Ed è ben noto che la questione «virtù dei grandi pagani» ha attraversato il pensiero cristiano in modo carsico. Rispunta, ad esempio, nella trovata dantesca del «nobile castello», dimora degli spiriti magni (che non conobbero la fede) collocata nel limbo, ma dalla quale sono addirittura sortiti con compiti di grande responsabilità almeno due eminenti figure: Virgilio, che accompagna Dante fino alle soglie del «paradiso terrestre», e Catone Uticense, stabile e occhiuto guardiano del Purgatorio. Dante dice a sé stesso, per chiudere la questione, che «ben far non basta» (Purgatorio, XXII, 60), ma tutti comprendono che, anche per lui, quella è una risposta provvisoria.
Schiano ha compiuto uno scavo approfondito intorno alla cultura di Sagarriga Visconti e alle fonti di questo monumentale suo commento al De officiis. Piace qui ricordare il nesso, da lui valorizzato, di Sagarriga Visconti con le ascendenze culturali e filosofiche del curatore tardosecentesco dell’edizione del De officiis presa a base per il commento: quella di Samuel Rachel (1686). Rachel aveva tenuto anche lui lezione sul De officiis e, prima (1660), sull’Etica Nicomachea di Aristotele. Mentre spiegava il De officiis agli studenti, Rachel meditava sul De iure belli et pacis di Grozio, visto dal Rachel come «compimento» del trattato ciceroniano per quel che attiene alla nozione di «diritto naturale». Così il cerchio si chiude.
Riconsiderando questa stagione del pensiero laico, affiora alla mente la domanda che Voltaire colloca nel cuore della voce Tolleranza del Dizionario: «Perché non abbiamo fatto altro che scannarci a partire dal Concilio di Nicea?»