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 2025  novembre 30 Domenica calendario

La caduta dell’amico e vicepresidente di fatto (odiato a Kiev e fuori): «Ora andrò al fronte»

Lo chiamavano il vicepresidente, anche se non lo era. Faceva il ministro degli Esteri, anche se non era mai stato in diplomazia. Non s’è sposato, non ha avuto figli e ha dedicato tutto il suo tempo, da sempre, al Capo. Lo accompagnava a ogni evento ufficiale, ben più della first lady Olena. Non permetteva a nessuno di volare troppo vicino al suo Sole, se non incenerendone le ali. «Lo teneva sotto ipnosi», racconta ironico un deputato di Servire il Popolo, il partito di governo. E tutti sapevano che i due dormivano l’uno di fianco all’altro nel bunker sotterraneo della presidenza, «ben più di quanto ci dormisse la moglie». E in qualche momento libero giocavano persino a pallone, si scaricavano i nervi alla playstation, scaricavano come adolescenti le playlist di canzoni rilassanti, si guardavano qualche film. Non ci fossero mai stati dubbi sulle inclinazioni di Volodymyr Zelensky – e non ce ne sono mai stati —, il rapporto fra il presidente ucraino e il fedelissimo Andry Yermak si sarebbe prestato a ben più di qualche chiacchiera sui social kieviti. «Le lunghe resistenze di Zelensky nel licenziare Yermak – dice un’analisi del Kyiv Post – rivelano la profondità del loro rapporto». Un’interdipendenza simile a quella fra Bush e Cheney. Un’amicizia nata nel 2010, calcando i set tv: lo yin e lo yang, riassume qualcuno, il telecomandante e il telecomandato. «Yermak è un manager potente – l’ha descritto una volta il presidente —. Lo rispetto per i suoi risultati. Fa quello che gli dico di fare e porta a termine i suoi compiti». «Zelensky era mio amico prima di questo incarico e lo rimarrà dopo», ricambia ora il fido Yermak: «Mi hanno screditato, ma sono una persona onesta e perbene. Andrò al fronte. E sono pronto a qualsiasi rappresaglia».
Ex produttore cinematografico, avvocato dello showbusiness, amicone che in sei anni era riuscito a costruire una cosa senza precedenti nella politica ucraina: un governo parallelo che toccava ogni leva del potere. Tutti i ministri sapevano che la loro sopravvivenza dipendeva dai buoni rapporti con lui. Odiato a Washington: «Non possiamo fare a meno di farci i conti». Detestato a Bruxelles: «Qualunque cosa sarebbe meglio che mandarlo a trattare con gli Usa». Malvisto a Kiev: due terzi degli ucraini lo volevano cacciare già la scorsa primavera. Eppure, difeso da Zelensky in tutti i round negoziali, al posto dei diplomatici di professione: solo cinque giorni prima delle sue dimissioni, era seduto a dialogare col segretario di Stato americano, Marco Rubio. Potente e prepotente, Yermak, al punto da bruciare i possibili rivali: da Mykhailo Fedorov, il ministro che vigilava sulla trasparenza nell’acquisto dei droni, a Dmytro Kuleba, il ministro degli Esteri della prima emergenza, emarginato nelle trattative. Uno su tutti: Valerii Zaluzhnyi, popolarissimo generale congedato l’anno scorso e spedito a far l’ambasciatore a Londra, lontano dalle leve del potere.
Il governo parallelo di Yermak, a sentire i giudici ucraini, somigliava molto a un «sistema criminale». E aveva come referente un altro ex socio di Zelensky, Timur Mindich, l’uomo che amava i wc d’oro in stile Cattelan, l’oligarca avvisato appena in tempo delle indagini e subito scappato all’estero. Era un sistema che ha permesso di lucrare 86 milioni di euro sugli approvvigionamenti di luce d’Enerhoatom, la società statale che fornisce metà dell’elettricità al Paese. Consentendo a Yermak di costruirsi villone alle porte di Kiev e ad Artem Kolyubayev, altro cine-produttore, d’investire nel business dei droni e di farsi pagare film-polpettone sull’invasione. S’arricchivano un po’ tutti, all’ombra di Yermak. Qualcosa sarebbe piovuto anche sulla ministra dell’Energia, Svitlana Grynchuk, e sul ministro della Giustizia, Herman Halushchenko, che il presidente ha subito silurato nella speranza di risparmiare la testa del suo miglior amico.
Le accuse non toccano Zelensky, finora. Che appare preoccupato più per il tradimento dell’amico, che per l’inchiesta. «Dal grano sul Mar Nero ai bambini rapiti – riassume un deputato della Rada —, tutti i dossier erano di Yermak. E senza di lui, il presidente non faceva nulla»: Yermak andava negli Usa e alla Nato, otteneva sanzioni contro Mosca e preparava discorsi per convincere l’Europa. Nel 2024, Time l’aveva incoronato fra i 100 personaggi più influenti della Terra. «Come se la caverà adesso Volodymyr?». Domanda fondata, ma oziosa: come se la caverà l’Ucraina, piuttosto?