Corriere della Sera, 30 novembre 2025
Scandalo mazzette, via Yermak. La nuova delegazione negli Usa
La grotta di Ali Babà è in via della Banca. Un’elegante e blindata strada nel quartiere governativo di Kiev, piena di tigli, sorvegliata dai droni e decorata di case bellissime: la più spettacolare è la residenza presidenziale, poco più su, la Casa delle Chimere in stile Gaudì dove vive Volodymyr Zelensky. Fa ancora buio, venerdì mattina, quando gli agenti in mimetica con le sigle «Nabu» e «Sapo» stampate sulla schiena suonano al citofono di Andriy Yermak, 54 anni, che di Zelensky è il vicino, l’amico, il capostaff appena rientrato dai colloqui di pace di Ginevra. «Buongiorno, siamo dell’Anticorruzione. Abbiamo un ordine di perquisizione. È disposto a collaborare…?». Sì, Yermak è disposto. Li aspettava: nelle intercettazioni dell’inchiesta Mida, il più grande scandalo ucraino da quand’è scoppiata la guerra, i presunti ladroni parlano sempre d’un certo «Ali Babà». Che altri non sarebbe se non Andriy Borysovych Yermak, regolarmente e prudentemente citato col nome in codice.
È l’alba d’una fine: Yermak detto anche «il Cardinale», nominato consigliere del presidente nel 2020, era fino a ieri il secondo uomo più potente d’Ucraina. È anche il tramonto d’un inizio: in quasi 4 anni di guerra, «Ali Babà» è stato l’ombra di Zelensky e alle sue spalle compariva fin dalla prima notte dell’invasione, in divisa, nel famoso videoselfie girato davanti alla Casa delle Chimere: «Siamo tutti qui e continueremo così...». Zelensky ha tentato in tutti i modi di salvare Yermak. L’estate scorsa, pure con una contestata legge ad personam per limitare i poteri di Nabu e Sapo. Ma una perquisizione così non s’era mai vista, a Kiev, e da due settimane lo scandalo faceva tremare il governo e calare i consensi. Alla fine, il leader ucraino non ha potuto che firmare il licenziamento: «Yermak mi ha presentato le sue dimissioni – ha annunciato —, lo ringrazio per aver sempre rappresentato la posizione dell’Ucraina».
Nessuno aveva capito che cosa ci facesse ancora lì, Yermak. «In quel ruolo – dice il deputato Mykyta Poturaiev —, anche un santo potrebbe trasformarsi in un diavolo. Lo stesso Lucifero non cominciò come angelo? Ma era chiaro a tutti che Yermak doveva andarsene». Enormi, le pressioni di Usa e Ue: «Yermak era un elemento tossico», confida un diplomatico europeo. Nessuno s’aspetta che la linea sul piano Trump, ripetuta da Yermak ai negoziati ginevrini, possa cambiare: «Non c’è persona sana di mente – aveva avvertito lui stesso – che oggi firmerebbe un documento per cedere territorio alla Russia». È evidente in ogni caso che «il momento non poteva essere peggiore», commenta l’analista politico Bohdan Nahaylo: «Le decisioni più importanti passavano tutte per l’ufficio di Yermak. Le sue dimissioni ora sono il più pericoloso vuoto di potere da quand’è scoppiata la guerra. Ma possono essere anche un’opportunità. Non è l’Ue a chiederci di soddisfare elevati standard di trasparenza?».
Sotto a chi tocca. «Questa situazione c’indebolisce nei negoziati e la Russia senza dubbio sfrutterà questo scandalo», osserva un altro analista ucraino, Volodymyr Fesenko. La prossima settimana, una delegazione americana sarà a Mosca, mentre Putin – che nella notte tra venerdì e sabato ha bombardato per una decina di ore l’Ucraina (600.000 persone sono rimaste senza elettricità) – annuncerà d’essere pronto a discutere una nuova bozza personalmente con Trump. Bisogna fare presto, a trovare un successore: i militari puntano su Pavlo Palysa, un ex comandante di brigata che faceva da vice a Yermak. Ma sarebbe evidentemente una soluzione temporanea, perché la poltrona richiede soggetti di profilo più alto: il primo ministro, Yuliia Svyrydenko, il ministro per la Trasformazione digitale, Mykhailo Fedorov, il capo dell’intelligence militare, Kyrylo Budanov, il ministro della Difesa, Denys Shmyhal… La guerra per la successione è già cominciata e passa anche per il gradimento americano, oltre che europeo. Intanto, ieri, una delegazione ucraina guidata dall’ex ministro della Difesa, Rusten Umerov, è partita per la Florida per proseguire la discussione sui negoziati di pace. «Quando tutta l’attenzione è concentrata sulla diplomazia e sulla difesa in una guerra – esorta all’unità Zelensky —, è necessaria la forza interiore. La Russia vuole che l’Ucraina commetta errori: non ci saranno errori da parte nostra». Ali Babà e i suoi ladroni la pagheranno, se tali saranno giudicati, questo non è sicurissimo ma altamente probabile: «Il nostro lavoro però continua, la nostra lotta continua. Non abbiamo il diritto di ritirarci e di litigare tra di noi. Se perdiamo l’unità, rischiamo di perdere tutto: noi stessi, l’Ucraina, il nostro futuro. Dobbiamo unirci, dobbiamo resistere. Non abbiamo altra scelta. Non avremo un’altra Ucraina».