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 2025  novembre 28 Venerdì calendario

In Louisiana un “hub logistico” per deportare gli immigrati

L’aeroporto internazionale di Alexandria, nel cuore della Louisiana, è un piccolo scalo regionale con una manciata di voli di linea ogni giorno, senza mai file alla sicurezza né folle agli arrivi. A poche centinaia di metri dai gate, però, l’atmosfera rilassata cambia radicalmente. Su una pista separata, più sorvegliata, atterrano e ripartono in continuazione gli aerei dell’Immigration and Customs Enforcement (Ice), il braccio dell’apparato federale d’immigrazione degli Stati Uniti. E accanto al terminal sorge l’Alexandria staging facility, un centro di detenzione da circa 400 posti letto: 7000 metri quadri di stanze senza finestre, pensate per soste brevi. Qui i detenuti vengono identificati, “smistati” e trasferiti verso altri centri o direttamente sui voli di rimpatrio.
È da questo aeroporto che, lo scorso marzo, è passato Badar Khan Suri, ricercatore indiano con visto per la Georgetown University sul quale pesavano soprattutto l’attività sui social della moglie, palestinese americana critica nei confronti di Israele, e la storia della sua famiglia a Gaza. I risvolti politici della sua vicenda hanno attirato l’attenzione dei media e, dopo 54 giorni, un giudice ne ha ordinato il rilascio. Sempre qui ha transitato, nei giorni scorsi, Bruna Caroline Ferreira, che ha legami familiari con la portavoce della Casa Bianca, Karoline Leavitt, e alla quale gli avvocati hanno promesso un rapido rilascio. Ma la maggior parte delle persone che arrivano ad Alexandria non ha la stessa visibilità.
Proprio grazie alla zona d’ombra in cui opera, infatti, negli ultimi mesi lo scalo è diventato lo snodo centrale della macchina delle deportazioni statunitense. Secondo il gruppo Witness at the Border, più di 31.000 persone sono passate dall’Alexandria staging facility dall’inizio della seconda Amministrazione Trump. E mentre i voli di deportazione dell’Ice raggiungevano, a giugno, il livello più alto degli ultimi cinque anni, Alexandria saliva al primo posto tra i centri di espulsione più trafficati della nazione.
Nel raggio di 150 chilometri ci sono almeno otto altri centri di detenzione per migranti che possono ospitare fino a 7000 persone. Il risultato è che la Louisiana è lo Stato con più detenuti in custodia Ice e la principale cerniera tra arresti e deportazioni.
La scelta non è casuale. La Louisiana ha da decenni il più alto tasso di carcerazione pro capite negli Usa. Diversamente da altri Stati, una parte consistente dei detenuti statali è rinchiusa in carceri gestite a livello locale che negli anni Duemila sono state affidate ad aziende private, tra cui Geo Group e LaSalle Corrections.
Quando, nel 2017, il governatore democratico John Bel Edwards ha avviato una riduzione della popolazione carceraria, migliaia di posti sono rimasti vuoti, proprio mentre l’Ice cercava nuovi letti. Le carceri rurali della Louisiana si sono rivelate una soluzione immediata che ha portato contratti federali più redditizi. In pochi anni i posti disponibili per detenuti Ice sono più che triplicati senza bisogno di investimenti edilizi. La logica economica ha fatto il resto: terreni a basso prezzo, salari inferiori alla media nazionale e un costo giornaliero per detenuto stimato a circa un terzo rispetto ad altri Stati. Anche sul piano giudiziario il quadro è favorevole a Ice: la Corte d’appello federale con sede a New Orleans è considerata tra le più rigide in materia di immigrazione, e la classe politica locale – oggi interamente repubblicana ai vertici – non ha opposto resistenze.
Le cittadine rurali attorno ad Alexandria, dove questi centri hanno preso il posto delle vecchie industrie, sono diventate note come “detention alley”, un corridoio di vecchie carceri riconvertite dove la presenza dei detenuti cresce a ritmo vertiginoso. Richwood, per esempio, era una comunità agricola in declino. Il carcere locale, oggi gestito da LaSalle Corrections per conto di Ice, è diventato la principale fonte di entrate della cittadina: i contributi annuali pagati dall’azienda sono saliti a quasi mezzo milione di dollari, in un bilancio cittadino di 1,7 milioni. Il sindaco sottolinea i benefici del sistema: più agenti assunti, nuove auto di pattuglia, servizi ampliati.
Anche a Winnfield, cittadina del nord dello Stato circondata da foreste e un tempo legata al legname, il centro di detenzione ha portato posti di lavoro e nuove entrate pubbliche, Dentro i centri, però, il quadro cambia. A Richwood quasi 1.200 persone dormono in letti a castello doppi o tripli, così vicini da lasciare poco spazio per muoversi; le luci si spengono a mezzanotte e si riaccendono dopo quattro ore, con guardie che urlano per far alzare tutti. Tra loro ci sono giovani donne, madri, anziane, alcune incinte. Molti lavorano per un dollaro a turno nelle pulizie o in cucina. Rapporti federali hanno segnalato problemi di igiene, carenze sanitarie, ricorso estensivo all’isolamento. I centri sono spesso lontani dalle grandi città, fatto che rende gli incontri con avvocati e familiari difficili e costosi.
Per molti l’unica alternativa è la “partenza volontaria”: temendo mesi di detenzione, preferiscono accettare il rimpatrio per poter tentare, un giorno, un rientro regolare, soprattutto quando si tratta di persone che vivevano negli Usa da anni, non hanno precedenti penali, e non godono di assistenza legale. La Casa Bianca rivendica l’efficienza come obiettivo. Il direttore Ice Todd Lyons ha dichiarato che l’agenzia deve funzionare come un colosso logistico “alla Amazon o FedEx, ma con esseri umani”, assicurando deportazioni rapide e sicure. Per conseguire quel risultato, una legge federale di luglio ha stanziato 45 miliardi di dollari per nuove strutture Ice e per l’espansione di quelle esistenti. Geo Group e CoreCivic hanno già annunciato migliaia di nuovi letti ricavati riaprendo carceri inattive o riconvertendo edifici, sul modello della Louisiana.
Il ritmo dello sviluppo è tale che le associazioni umanitarie e il mondo cattolico faticano a portare assistenza in tutti i centri. Mercoledì scorso, ad esempio, un’organizzazione non profit e alcuni membri del clero cattolico hanno intentato una causa contro la Casa Bianca, accusando Ice di aver impedito illegalmente la presenza pastorale in un centro di detenzione vicino a Chicago.
Anche in Louisiana la macchina che combina deportazioni e profitto è già entrata in collisione con la rete di avvocati, volontari, parrocchie e religiosi che tentano di tenere aperto uno spazio di presenza umana nell’hub delle deportazioni. Intanto i vescovi cattolici Usa hanno approvato una dichiarazione critica verso la campagna di deportazioni, sottolineando le ricadute familiari, l’assenza di proporzionalità e il rischio di violazioni della dignità umana. Il testo richiama l’appello di papa Leone XIV a guardare ai migranti come a persone vulnerabili. Ma il terreno da tutelare continua ad allargarsi: l’esercito americano ha in programma di allestire un centro di detenzione gigantesco, da 5.000 posti letto, a El Paso, in Texas, con accesso all’aeroporto della base di Fort Bliss.
2 milioni
gli immigrati che hanno dovuto lasciare gli Usa finora nel corso del 2025, con 400.000 deportazioni e 1.600.000 espulsioni concordate
10
milioni
gli stranieri che vivono negli Stati Uniti senza documenti, la maggior parte da anni. Il presidente Donald Trump ha promesso di espellerli tutti dal Paese
59.207
gli immigrati che erano detenuti nelle prigioni federali dell’Ice a fine settembre Il 46.9 per cento non ha alcun precedente penale