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 2025  novembre 28 Venerdì calendario

Ilva, grandi manovre per la cordata italiana Sindacati spaccati sul vertice al ministero

Torna in campo prepotentemente il progetto di una cordata italiana per garantire un futuro all’ex Ilva. Un’ipotesi già lanciata sottotraccia dal ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso, prima della chiusura dell’ultima asta per vendere il gruppo siderurgico e che da qualche settimana sta riprendendo forma su spinta del governo, viste le difficoltà per rilanciare quello che un tempo era il principale colosso europeo dell’acciaio. Proprio il ministro, nell’ultimo tavolo a Palazzo Chigi, aveva detto: «Si sta percependo un crescente interesse anche da parte di operatori del nostro Paese». Oggi al Mimit Urso vedrà i rappresentanti dei lavoratori e degli enti locali. Ma le tensioni sul nuovo piano del governo – soprattutto sulle manutenzioni e i tempi di decarbonizzazione – hanno spaccato il fronte sindacale. Al vertice parteciperanno tutte le sigle del sito di Genova (FiomCgil, FimCisl, Uilm, Ugl e Usb) mentre da Taranto, sul versante dei confederali, ci sarà solo la Cisl. Intanto rumors che stanno circolando insistentemente nelle ultime ore parlano di un incontro – non confermato – nei giorni scorsi a Palazzo Chigi tra esponenti del governo e manager della prima linea di Arvedi, il primo gruppo italiano del settore, che rispetto ad altri player del settore può produrre acciaio primario anche con preridotto di ferro (il cosiddetto Dri) e laminati più flessibili e profilati anche per settori come l’auto, proprio come nei prossimi anni farà l’ex Ilva a Taranto. E come Arvedi sarebbero stati sondati e incontrati in via riservata altri produttori primari e trasformatori italiani come il gruppo Marcegaglia.Il governo, per salvare un’industria dove lavorano 10mila persone, sa che dovrà avere un ruolo anche in futuro nell’ex Ilva. In questa direzione il suo piano è semplice quanto ambiziosa: per evitare un suo coinvolgimento diretto, o quanto per limitarlo senza incorrere nelle ire europee, spinge per allargare quanto è più possibile la futura compagine societaria. Quindi, affiancando a un soggetto finanziario (come per esempio i fondi americani Bedrock e Flacks, che si appresta a presentare un’offerta a dicembre) player del settore. Meglio se italiani.
Una risposta non è ancora arrivata dalle aziende siderurgiche del nostro Paese. Le quali, però, avrebbero messo sul piatto una serie di caveat e di criticità. In primo luogo relativamente al costo dell’investimento complessivo – tra i 7 e i 9 miliardi per costruire forni elettrici e impianti Dri a Taranto – con il governo che direttamente o indirettamente dovrebbe accollarsi una parte. Ma nella loro lista di problematiche ci sono il nodo dell’energia, la mancanza di chiarezza da parte della Ue sulle regole del Cbam e sulle quote gratuite per gli Ets, il ruolo di Metinvest nel rilancio di Piombino che potrebbe fare loro concorrenza a condizioni migliori fino a un provvedimento ad hoc per garantire l’approvvigionamento di rottami per chi non fa acciaio primario. Va da sé che sono questioni che vanno ben oltre il dossier Ilva e che diventano merce di scambio in una trattativa ancora tutta in salita.