il Fatto Quotidiano, 28 novembre 2025
L’eterno ritorno di Michael Jackon, di nuovo Re delle classifiche
La superfan Jackie Onassis Kennedy profittava dell’ospitalità di Jacko, standosene chiusa nella roulotte del divo in quelle ore antelucane. La zona era malfamata, meglio non rischiare l’incolumità di una ex first lady: East Los Angeles, incrocio fra Union Pacific Avenue e South Calzona Street. I malintenzionati facevano più paura degli zombi-ballerini. Fortunatamente, in quelle cinque notti di riprese dell’ottobre 1983 tutto filò liscio. Spaventosamente liscio. Curiosi e assassini erano stati tenuti alla larga, eccezion fatta per un drappello di passanti che riuscì a sbirciare dentro il set, mentre altre celebrità furono ammesse ad assistere agli shooting: fecero capolino Marlon Brando e Rock Hudson; Fred Astaire fu addirittura provinato per un cameo nella coreografia. Il vecchio fenomeno della danza e il giovane principe del pop si ammiravano reciprocamente: i calzini bianchi di Jacko nel video erano un omaggio a Fred. Questi, dal canto suo, era rimasto strabiliato osservando mesi prima la perfezione dei passi dell’emulo durante il gala per l’anniversario della Motown. Volle farsi insegnare personalmente il moonwalk, ma qui servivano movenze oltretombali, non lunari. E Astaire non fu inserito nel montaggio finale di Thriller, il minifilm di 14 minuti che rivoluzionò il concetto di videomusica. Anche parte del monologo fuori scena di Vincent Price, il più terrorizzante, venne cestinato. Del resto, con un budget senza precedenti di 500 mila dollari dell’epoca, non era consentito sbagliare progetto. C’era da riportare in cima alle classifiche l’album omonimo, uscito il 29 novembre 1982: singoli sensazionali come Billie Jean o Beat It avevano già assicurato al discone una fortuna duratura, ora serviva un colpo d’ala. Mtv poteva mandare in onda la superclip, tuttavia per regola d’ingaggio non partecipava alle spese. La soluzione fu vendere all’emittente un making of per 250 mila dollari, e il bilancio non si rivelò troppo sanguinoso per la produzione, il regista John Landis e il protagonista Michael Jackson.
Grazie a quella formidabile trovata cinematografico-musicale, l’album Thriller è diventato il più venduto di tutti i tempi, un record da oltre cento milioni di copie. Il brano, come ogni anno in questa stagione, è risalito prepotentemente nelle charts di Billboard, stavolta insidiando Taylor Swift nella top ten: un trend senza precedenti anche nel grafico del successo senza interruzioni di Jackson. Merito delle dance-routines dei morti viventi di Thriller, soprattutto. Nella notte di Halloween è tradizione consolidata lo svolgimento di una parata-show a New York, sulla 6ª Avenue. Se vuoi far parte degli oltre 70 del corpo di ballo devi richiedere l’iscrizione e farti un mazzo così per non andare fuori sincrono in mezzo agli altri fuoriusciti dal camposanto. E anche se Jacko dal 2009 li osserva ridanciano sgranocchiando popcorn nell’Aldilà, nessuno dei suoi fedelissimi giurerebbe sia morto davvero.
A rinsaldarne la presenza nelle vesti di idolo supremo del pop arriverà, il 24 aprile 2026, il biopic Michael. Il film sulla sua vita, la carriera e le controversie giudiziarie dovrebbero far impallidire, nelle premesse, ogni precedente nel filone che va dai Queen a Elvis, passando per le pellicole dedicate a Springsteen e Dylan. Ma chissà se il ruolino di marcia sarà definitivamente rispettato: se Landis ha impiegato meno di una settimana per girare Thriller, il pensiero operativo per Michael è cominciato nel 2019, quando il produttore Graham King (lo stesso di Bohemian Rhapsody) decise che la regia sarebbe stata affidata ad Antoine Fuqua e il ruolo centrale a Jaafar Jackson, nipote del de cuius. Jaafar sembra cavarsela: e la somiglianza con lo zio si nota, senza essere un calco somatico nella fase “naturale” del Nostro.
Il problema è un altro: cosa raccontare e cosa eludere, in quel secchio di segreti che era stata l’esistenza di Jacko? Ok la fama, i trionfi, ma come non ridurre la trama a una stucchevole fiaba per bambini? Che dilemma: omettere i sospetti di pedofilia o strizzare l’occhio a quel pubblico voglioso di sguazzare nel drama e nei risvolti morbosi di una sessualità avvolta in troppe zone d’ombra? King ha sottolineato di voler “umanizzare il soggetto, non sterilizzarne la storia”. Bella sfida: l’intera terza parte della pellicola è stata girata da capo, a inizio 2025, per eliminare il capitolo riguardante Jordan Chandler, il ragazzino che (stando alle accuse del genitore) sarebbe stato abusato da Michael. Oltre ai rinvii forzati e agli stop legali resta il dubbio sulla durata: ricavarne due parti per un totale di sei ore di film da far uscire in tempi diversi, o continuare a limare un unico prodotto che già supera le tre ore e mezza? Come sia, il trailer di Michael, nelle sue prime 24 ore in Internet, ha superato 110 milioni di visualizzazioni. Sì, Jacko è ancora qui, inchiodato sul trono dello showbiz.