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 2025  novembre 28 Venerdì calendario

Ambra Sabatini: "A 23 anni ho già vissuto tre vite Amo il destino, ogni cosa è un dono".

Ambra Sabatini è una stella danzante nata dal caos, una campionessa paralimpica e mondiale dotata di grande forza gentile. Per capirla bisogna farsi aiutare da Nietzsche e da Nassim Taleb, guardare alla frase tatuata sul suo petto, “Amor fati”, e ricordare il concetto di antifragilità elaborato dall’autore de Il cigno nero. «Ho scelto di tatuarmi Amor fati, amore per il destino – spiega Ambra -, perché accetto come un dono tutto quello che mi capita, le cose buone e quelle cattive. Non è fatalismo, è il contrario: amo la mia vita che è fatta di tutto ciò che mi accade».
Ambra Sabatini ha 23 anni, è nata a Livorno, è cresciuta a Porto Ercole sull’Argentario, ha vinto la medaglia d’oro nei cento metri alle Paralimpiadi di Tokyo nel 2021, ha perso l’oro nelle Paralimpiadi del 2024 a Parigi, cadendo “a un metro dal traguardo” quando era in testa, ha rivinto l’oro ai Mondiali di atletica di quest’anno a New Delhi. Fino al 2019 era una promessa dell’atletica e sognava le Olimpiadi. Poi ebbe un incidente, fu investita mentre viaggiava con suo padre sullo scooter e le amputarono una gamba. Da lì comincia la sua seconda vita, ha continuato a correre veloce usando la protesi che l’ha portata alla vittoria alle Paralimpiadi di Tokyo. La sua second life è finita a Parigi, quando cadde a un passo dal trionfo.
A un metro dal traguardo è il docufilm che racconta la storia. Ci vuole coraggio a scegliere un momento così doloroso come titolo.
«È stata la produzione a sceglierlo, ma è piaciuto anche a me. All’inizio il titolo era Ambra Sabatini, quando correre cambia tutto. Poi il messaggio del film è cambiato, dopo la caduta a Parigi avevamo capito che poteva arrivarne uno più forte. Abbiamo messo insieme le lacrime disperate di Parigi con quelle gioiose di Tokyo, quando scoppiai a piangere prima dell’arrivo perché sapevo di avere vinto. Sono sempre lacrime a un metro dal traguardo, ma diverse».
Per questo vuole portarlo nelle scuole?
«Il regista è Mattia Lamberti, la produzione è Giffoni Black Box. È stata un’esperienza bellissima girare il film. Le scuole possono richiederne la visione in occasione del 3 dicembre, giornata mondiale della disabilità. Ci sarà un tour che partirà da Orbetello, poi il film andrà a Grosseto, Livorno, Lucca, Firenze, Milano, Napoli e Roma. Sarò presente alle proiezioni, pronta a rispondere alle domande».
Il concetto di resilienza non ha senso nella sua storia. Lei è antifragile, subisce traumi, li fa propri e li sfrutta per migliorarsi.
«È così. Anche se ho solo 23 anni, ho affrontato tante sfide e in ogni caduta ho imparato a trovare il lato positivo, a costruire un percorso che può portarmi a coronare i sogni».
Ha vissuto tre vite. Partiamo dalla nascita a Livorno.
«Sono nata lì perché mio padre era ufficiale di marina, prima all’Accademia poi ai rimorchiatori. Una volta in pensione è tornato all’Argentario, avevo 7 anni. Ho frequentato per due anni il liceo scientifico sportivo a Grosseto, poi il Commerciale ad Albinia e ora sono iscritta a Scienze della comunicazione».
Prima dell’incidente faceva già atletica?
«Io sono testarda, mi sento diversa dalle altre. Quando giocavo a pallavolo ero un po’ isolata, non mi pesava fare i sacrifici necessari per arrivare ai traguardi che volevo raggiungere. Volevo fare sport, sognavo di essere atleta professionista e di andare alle Olimpiadi. Ho fatto pattinaggio, anni di pallavolo, poi è scoccata la scintilla con l’atletica, mi selezionarono per la staffetta al Golden Gala. Mi piaceva correre, correvo per tornare a casa dopo gli allenamenti di pallavolo. L’allenatore della squadra di atletica di Porto Ercole mi convinse, cominciai a fare mezzofondo a 13-14 anni. Poi passai alle gare veloci».
Poi ci fu l’incidente, la macchina che l’ha investita a bordo dello scooter…
«So chi è l’investitore, ma preferisco restare dalla parte dell’investita. Sono stata fortunata a sopravvivere, non credo che sarei riuscita a superare il senso di colpa per aver impattato in maniera così forte sulla vita di un altro».
Quel trauma le ha dato tanta forza da farla vincere la medaglia d’oro a Tokyo, due anni dopo.
«Parlavo del mio amore per il destino perché, se non ci fosse stato il Covid, non sarei mai riuscita ad andare alle Olimpiadi. E a vincere i 100 metri, battendo poi anche il record mondiale. Sono stata la prima a scendere sotto i 14 secondi, il mio primato è 13 secondi e 98».
Dai Mondiali vinti a Parigi alle Olimpiadi perse a pochi passi dall’oro.
«Ero la portabandiera della Nazionale, mi sentivo orgogliosa. Con il presidente Mattarella ho pranzato al Villaggio Olimpico, un grande onore. Quando io e Tamberi andammo al Quirinale per riconsegnare la bandiera, accomunati dalla cattiva sorte, il presidente disse parole toccanti: “Ambra Sabatini e Gianmarco Tamberi hanno vinto una medaglia più importante, quella dell’affetto degli italiani"».
Uno dei suoi miti è Alex Zanardi.
«Per me, e per tutti gli atleti paralitici è un punto di riferimento. Quando ebbi l’incidente, il primo messaggio che mi arrivò fu il suo: “Quando ritornerai a correre, non avrai neppure il tempo per fare tutto quello che potrai”. Mi è dispiaciuto tanto non essere andata a trovarlo quando era ricoverato all’ospedale di Siena, dopo il suo incidente a Pienza».
Qual è il prossimo traguardo di Ambra Sabatini?
«Andare alle Paralimpiadi di Los Angeles e rivincere la medaglia d’oro. Sarò nel fiore dei miei anni di atleta, vorrei abbattere tutti i muri, compreso il mio record».