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 2025  novembre 28 Venerdì calendario

Bersani: “Si dica tutti insieme che parte l’alternativa. Cambi il nome campo largo”

Pier Luigi Bersani pensa che per prima cosa, il progetto per l’alternativa debba trovare un nome meno agreste di campo largo. Che Schlein abbia fatto bene a mettere condizioni sull’invito ad Atreju. E che il problema della leadership nel centrosinistra si risolverà per forza, che si facciano o no le primarie, a patto di mettere davanti a tutto la prima qualità necessaria in politica: la generosità.
Schlein ha detto che andrebbe ad Atreju solo per un confronto con Meloni. Meloni ha invitato anche Conte. Il confronto è saltato. Che ne pensa?
«Che sarebbe meglio se la premier lasciasse perdere i giochetti e le furbizie».
Non pensa che mentre il partito di maggioranza relativa attacca il capo dello Stato, rilancia il premierato e si prepara a una battaglia campale per difendere la separazione delle carriere dei giudici, andare ad Atreju rischi di legittimarne l’operato?
«L’unico motivo per cui andare sarebbe dire ciò che va detto. E cioè che dati alla mano, noi nel 2022 eravamo ai primi posti per la crescita dell’eurozona e l’anno prossimo saremo all’ultimo; che abbiamo i salari reali a meno 8 per cento rispetto al 22; che tre anni fa rinunciava a curarsi il 7 per cento degli italiani, adesso sono il 9,9; che i reati sono aumentati, che sull’immigrazione non hanno né integrato né espulso, che l’industria nazionale è andata giù a rotta di collo».
Le agenzie di rating ci promuovono.
«Le agenzie di rating guardano come stanno i conti pubblici e come stanno le banche. E infatti i conti pubblici hanno preso la via dell’austerità, in un momento di crisi dell’economia, che è un errore, e le banche stanno da Dio».
L’ultima tornata delle Regionali, Veneto a parte, non è andata bene per la destra. E anche in Veneto, Fratelli d’Italia ha perso la competizione interna con la Lega targata Zaia.
«Questo voto ha dimostrato che il potenziale per competere e batterli c’è, ma c’è sempre anche il rischio che lo buttiamo via».
Come si fa a non buttarlo via?
«Serve un gesto politico, da fare tutti insieme, che dichiari la nascita del progetto per l’alternativa. Poi, un programma essenziale che giri per il Paese. Infine, un’insegna, un nome, un po’ meno campestre di campo largo. In fondo, o durante, questo processo si può sbrogliare il tema della famosa leadership, che può avvenire attraverso un’intesa o con le primarie. Ma io sconsiglio vivamente di immaginare le primarie di una cosa che si chiamasse ancora campo largo, perché pensare di compensare le fragilità con la competizione è un errore grave».
Ha un nome da proporre?
«Non spetta a me battezzare niente. Certo, meglio alludere all’obiettivo che al perimetro. Io ne incontro di gente normale. A migliaia. Per la nostra gente il problema di chi è il leader viene dopo la questione del patto e del progetto. Non è un elettorato che invoca il capo».
Dopo le scommesse vinte a queste regionali in Puglia, ma soprattutto in Campania, e i tentativi a vuoto di delegittimarla dall’interno, Schlein è rafforzata?
«Non c’è dubbio. E mi sembra un pochino stucchevole questo confronto tra i cosiddetti riformisti e i cosiddetti radicali. Mettiamoci d’accordo su una cosa: il riformismo non è un moto dell’anima, è un elenco di riforme. Noi siamo tutti moderati perché quel che proponiamo al Paese è che una famiglia possa arrivar alla fine del mese, che i giovani possano andare a lavorare per tempo e in modo stabile, che ci sia un fisco più decente, che chi ha bisogno seriamente possa curarsi. Sono cose moderatissime per fare le quali ci vogliono riforme piuttosto radicali».
Parla ai caminetti Pd che nel weekend si riuniranno a Montepulciano e a Prato?
«Mi piacerebbe che da lì venissero fuori non posizionamenti, ma proposte».
Sul programma Conte frena, prima il Movimento deve votare il suo.
«Io penso che si dovesse cominciare già mesi fa. Capisco che per alcuni partiti c’è il problema di portarsi dietro i propri militanti, ma devono considerare che al vasto mondo degli elettori la voce dei solisti non arriva. Può arrivare la voce del coro».
Il più convinto dell’alleanza è Matteo Renzi. Si fida?
«Non bisogna mettere limiti alla provvidenza, ma restare vigili».
Intanto ci sarà da fare insieme la battaglia sul referendum della giustizia.
«La destra finirà inevitabilmente per cantare chi non salta toga rossa è, ma questa riforma non aggiusta nulla del sistema giustizia, che non funziona. Non ci sono i cancellieri, hanno ancora i faldoni, servono cinque anni e mezzo per un processo civile. Loro pensano al grave problema di 30 magistrati che cambiano ruolo. Noi dobbiamo dire chiaramente una cosa: non stiamo difendendo i magistrati, difendiamo la divisione dei poteri. Tutti possono commettere errori, ma se la sanità non funziona non stiamo dando la colpa ai medici».
L’indebolimento dei giudici, gli attacchi ripetuti al Quirinale, il rilancio del premierato. È un disegno?
«È quello delle destre di tutto il mondo. Superare la divisione dei poteri e concentrarli in un esecutivo possibilmente plebiscitato».
Cambiare la legge elettorale con un proporzionale con premio di maggioranza serve anche a questo?
«Ora il problema è il pareggio. Allora cancelliamo il Parlamento e dal campionato togliamo la X. Meloni vanta il governo più stabile di sempre e poi dice che questa legge non dà stabilità. Cosa vogliono fare? Mettere la camicia di forza agli elettori?».
Come si superano le differenze su Russia e Ucraina con i 5 stelle?
«Dobbiamo preoccuparci di presentare una cornice essenziale dei grandi obiettivi che abbiamo: vogliamo la pace, il riconoscimento della sovranità, la ripresa di un ruolo delle organizzazioni internazionali, e poi andare di volta in volta nel dettaglio delle diverse situazioni. Certo che l’Europa doveva fare di più sull’Ucraina, ma ora che sta provando a presentare una soluzione più equilibrata, più giusta, è lì che dobbiamo stare. Sono tempi che disorientano, accade nelle coalizioni e nei partiti di tutto il mondo, ed è normale se a guidare è uno come Trump che non sai come si sveglia al mattino».
E sulla scelta del leader? Conte sembra ambire ancora al ruolo di candidato premier.
«Io penso che la generosità sia la materia prima della politica e voglio credere che non ci siano inciampi in quel percorso. Che si trovi insieme un criterio».