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 2025  novembre 28 Venerdì calendario

Consenso libero, le mosse dei partiti. Trattative (e sospetti) tra Pd e Lega

«Giorgia Meloni e Giulia Bongiorno assicurano che la legge sul consenso si farà? Vediamo. Noi siamo qui, non ci siamo mai sottratti. A patto, però che non sia un obbrobrio giuridico. O una retromarcia». Valeria Valente, senatrice dem, componente della commissione femminicidi, sintetizza così lo scetticismo che serpeggia nelle file del Pd all’indomani delle rassicurazioni, sul Corriere, della premier e della presidente della commissione giustizia al Senato sul futuro della legge sullo stupro. Si prende atto dell’intenzione, riaffermata da Meloni, di dare il via a «una norma scritta bene». E di quella della senatrice leghista di volerne specificare i contorni, proponendo «pene diversificate e una cascata di aggravanti».
Ma a pesare sono le parole di Matteo Salvini. Lo evidenzia Valente: «Ha detto una cosa diversa da quella che ha detto Bongiorno. Ed è qualcosa che già circolava nei corridoi e che continua a circolare tuttora. Il timore di false denunce che in realtà si chiamano calunnie e sono passibili di condanna. Ma non sa che le donne non denunciano perché temono un calvario processuale? Mi sa più di retaggio culturale dell’uomo che non riconosce l’autodeterminazione e teme di perdere uno spazio di potere». Prevarrà la linea Bongiorno o del suo leader?
Per ora la posizione del partito è compatta. Fiducia totale nella presidente della commissione: «Lei troverà la soluzione», è il mantra dei parlamentari. E a lei, penalista che ha guidato battaglie in difesa delle donne vittime di violenza, non riferiscono come alla Camera resista l’ipotesi di togliere dalla norma che prevede il «consenso libero e attuale», l’ultimo aggettivo. Bongiorno lo ha già escluso, nel Pd suscita una levata di scudi. «È una norma di tre parole. Devono restare tutte. Semmai se ne possono aggiungere, non togliere», si indigna Valente. Ma i timori che la legge causi «l’inversione dell’onere della prova, addossando all’indagato l’onere di provare che il consenso lo aveva ricevuto», serpeggiano non solo nella Lega.
La senatrice dem, che è anche avvocato, sbotta: «È il pm che deve provarlo, e il giudice valutare, non l’imputato. Certo è difficile. Dovrà valutare la situazione, messaggi, testimonianze, eventuali segni anche se chi subisce violenze in genere si pietrifica. Ma è difficile provare anche lo stato d’ansia che suscita lo stalking. E persino la violazione di domicilio. Ma si fa. Del resto questa norma c’è in tutta Europa: dalla Germania, agli Uk, alla Spagna alla Francia». I dubbi sostanziali si uniscono a quelli giuridici: «Noi siamo favorevoli alla norma ma vogliamo vedere come cambierà, non l’approveremo a scatola chiusa», dice il forzista Enrico Costa. E quanto accaduto martedì alimenta i sospetti. Lo ricostruisce Valente: «Un fulmine a ciel sereno. Nella capigruppo La Russa ci ha detto che fosse stato per lui l’avrebbe mandata in aula com’era, ma per farlo ci voleva l’unanimità. E quindi l’avrebbe iscritta all’ordine del giorno comunque, ma sarebbe stato fatto un passaggio “veloce” in commissione giustizia». Lì la sorpresa: «Bongiorno ha detto che se nessuno obiettava si poteva andare in aula. Ma la leghista Stefani ha espresso perplessità sul tema dei casi di violenza di minore gravità che riguarda un altro comma dell’articolo 609 bis e non il consenso. E alla richiesta di Bongiorno se voleva termini più ampi o audizioni la maggioranza ha scelto la seconda. Ora vedremo se è davvero una questione di contenuti. Altrimenti se ne assumeranno la responsabilità». In commissione si lavora al testo. Tra le ipotesi di aggravanti proposte da Bongiorno, pene più pesanti per chi ha fatto uso di droghe o abusato di alcol.