Avvenire, 27 novembre 2025
Violenze in casa, le vittime sono i genitori
Ma può capitare che un ragazzo che studia e frequenta l’oratorio, che non ha mai dato problemi in famiglia, che appare equilibrato e addirittura educato, a un certo punto si lasci invischiare da un gruppo di coetanei balordi, prenda l’abitudine di uscire di casa con il coltello in tasca e finisca per essere protagonista di violenze assurde e immotivate, come quelle capitate qualche giorno fa in corso Como, a Milano? Episodi che, visti in superficie, sembrano creati apposti per suscitare reazioni stupite e quasi incredule: ma come? Un ragazzo così a modo, un figlio di famiglie perbene. Impossibile. No, purtroppo. Sono situazioni che si verificano sempre più spesso e su cui occorre riflettere.
Luca Villa, magistrato di lungo corso, vasta esperienza con i giovanissimi più fragili, procuratore minorile a Milano, scuote la testa con amarezza. Se fosse un politico, uno di quelli abituati a ributtare la palla nel capo avversario e a lavarsene le mani, risponderebbe più o meno così: «Ma come facciamo noi magistrati a raddrizzare quello che né la società, né la famiglia, né la scuola sembrano ormai non riuscire più a controllare». E in buona parte avrebbe ragione. Ma per fortuna non è un politico di quella pasta e lui le mani se le sporca tutti i giorni, ascoltando ragazzi e genitori, raccogliendo la loro sofferenza, cercando nuove soluzioni a problemi sempre più complessi. È un magistrato, certo, ma anche un padre di tre figli. Conosce fin troppo bene il mondo che abbraccia e talvolta confonde, disorienta i giovanissimi. È convinto che solo un rinnovato e originale impegno educativo possa servire per sanare ferite che la repressione non riuscirà mai a fare. E poi ci sono alcune derive, insospettabili solo fino a pochi anni fa, che lo preoccupano in modo particolare.
L’altro ieri, Giornata mondiale contro le violenze sulle donne, ci sono stati grandi dibattiti anche sui maltrattamenti in famiglia, si è riparlato di maschilismo e di patriarcato. Tutto giusto, ma Villa invita a considerare anche qualche altro dato, a cominciare dall’abbassamento dell’età degli autori di reato. E, in queste violenze familiari, ci sono anche i maltrattamenti che i figli adolescenti infliggono ai genitori. Violenze verbali ma anche e soprattutto fisiche, percosse, danneggiamenti gravi che costringono madri e padri, di fronte all’impossibilità di arginare diversamente la furia dei loro ragazzi, a far intervenire la polizia. «Fino a qualche anno fa registravamo 5 o 6 denunce l’anno per casi del genere. Nel 2024 siamo arrivate a 106 denunce solo a Milano. E parliamo di famiglie che, secondo un certo modo di dire, definiamo “normali”, famiglie italiane ma anche immigrate di seconda generazione, perfettamente integrate, con una casa e un lavoro». La violenza è diventata uno stile di vita che i ragazzi scelgono per una sorta di adeguamento al peggio. I maltrattamenti che oggi infliggono ai genitori, domani diventeranno abituali verso i figli o le compagne. La ragione di questa spirale che appare sempre più diffusa? Il responsabile della procura minorile di Milano non ha dubbi. «Il fattore scatenante – spiega – è l’isolamento relazionale in cui piombano questi ragazzi. Il meccanismo d’innesco può essere una canna a cui segue il nirvana dei videogiochi e dei social in cui si immergono troppo spesso fino a notte fonda. In questa realtà parallela i risultati scolastici peggiorano, si medita il ritiro e si scatenano le liti familiari. Le relazioni si deteriorano, cominciano i maltrattamenti, la violenza diventa linguaggio abituale». In questo cortocircuito relazionale, in cui troppo spesso le reazioni di madri e padri sembrano contrassegnate da profondo analfabetismo affettivo, si finisce inconsapevolmente per consegnare i figli alla logica della violenza. Escono di casa con taglierini, lame a serramanico, ma anche con coltelli da cucina. E le ragazze si adeguano. Lo spray al peperoncino che tutte ormai hanno in borsetta, meglio se fuorilegge perché con una percentuale di principio attivo più alto, sembra più uno strumento offensivo che difensivo.
«Quando in udienza ascolto i ragazzi che affrontano il periodo della messa alla prova, chiedo loro: “Com’è la tua routine serale?”. La maggior parte è contenta di misurarsi nelle varie attività di volontariato ma poi in pochissimi riescono a liberarsi dal ricorso alla cannabis. “Mi serve per dormire”, si giustifica qualcuno. Ma non è vero e se io propongo loro di rivolgersi alla nostra assistenza medica per superare il problema, avverto resistenze, spesso non si intende neppure tentare». Insomma, se i tentativi di recupero di questi ragazzi sono un dovere, le probabilità di successo non sono mai scontate. Anche perché, come già accennato, i giudici minorili troppo spesso sono costretti ad operare senza il sostegno delle famiglie e con risorse limitate.
«Il venir meno della socialità spontanea, quella di piazza, è un altro degli aspetti che più mi preoccupano. Oggi la socialità è quella del web, della rete. Tanto comoda ma anche tanto ingannevole. Sui social la violenza, tanto per tornare ai nostri argomenti, è sempre spostata sul piano ludico. Quando poi si pretende di trasferire quel tipo di violenza nella realtà, si fanno grandi guai e si causano sofferenze profonde. Ma i ragazzi non si accorgono, spesso non immaginano neppure quanto dolore producono quei gesti». Per questo, quando si tratta di stilare progetti di messa alla prova, il procuratore minorile di Milano chiede sempre che vengano inseriti momenti di consapevolezza per quanto riguarda la relazione d’aiuto con una persona fragile. «Obblighiamo questi ragazzi a stabilire una relazione empatica, a riscoprire il contatto con l’umanità sofferente. Più realtà e meno virtuale. Non credo esista altra strada. Ma noi genitori dobbiamo essere i primi a dare il buon esempio. E invece…».