Il Messaggero, 27 novembre 2025
Le nuove eroine riscrivono le regole del gaming
Che le donne fossero da sempre parte del mondo videoludico non è una rivelazione: è una realtà consolidata, spesso sottovalutata. Oggi però i dati lo confermano con precisione. L’ultimo rapporto 2024 IIDEA l’Associazione di categoria dell’industria dei videogiochi in Italia conta circa 14 milioni di videogiocatori nel nostro Paese, 31% della popolazione tra i sei e i sessantaquattro anni, con un dato particolarmente significativo: il 41% sono donne e 7 videogiocatrici su 10 sono adulte. Una fotografia che ribalta molti pregiudizi e che segna un punto fermo: il gaming non è mai stato territorio esclusivamente maschile, e oggi meno che mai.
Per decenni l’immaginario videoludico ha relegato il femminile a ruoli minori, funzionali al percorso dell’eroe maschile. La donna era la principessa da salvare, la figura mistica da sconfiggere, la presenza che esisteva solo in relazione al protagonista. Questo modello si è progressivamente sgretolato. Le nuove donne guerriere dei videogiochi non attendono più il permesso di entrare in scena: occupano lo spazio narrativo con una naturalezza che ridefinisce il significato di forza e vulnerabilità. Nel farlo, mostrano un femminile complesso, stratificato, finalmente libero dai vincoli simbolici che per anni lo hanno limitato.
All’interno di questa trasformazione alcune protagoniste degli ultimi anni hanno rappresentato un punto di svolta. Aloy, introdotta da Horizon Zero Dawn, afferma un femminile che non vive nell’immaginario estetico ma nella competenza, nell’intelligenza e nella capacità di interrogare un mondo dominato dalla tecnologia perduta. Ellie e Abby, al centro di The Last of Us, offrono due interpretazioni divergenti ma complementari della complessità emotiva: entrambe attraversate da traumi, decisioni difficili, sentimenti irrisolti, mostrano un femminile che non cerca la perfezione ma la verità. Judy Alvarez e Panam Palmer in Cyberpunk 2077 aprono a un’altra dimensione: la prima immersa nella fragilità politica ed emotiva di Night City, la seconda radicata in una fisicità concreta e in una leadership che rifiuta ogni subordinazione.
A queste figure si affianca Fragile di Death Stranding, una delle rappresentazioni più significative del femminile recente: una donna segnata nel corpo e nella memoria, capace di trasformare il trauma in resistenza. La sua presenza non è costruita sulla forza sovrumana, ma sulla capacità di esistere nonostante ciò che l’ha ferita, portando con sé una potenza narrativa che si impone senza bisogno di alzare la voce.
Queste protagoniste appartengono a mondi diversi ma condividono un elemento essenziale: non sono più simboli costruiti per aderire alle aspettative del pubblico, ma individui. Le loro scelte, i loro gesti, i loro silenzi, persino le loro contraddizioni definiscono un nuovo modo di intendere il femminile. Non rispondono a un modello unico, non incarnano un ideale: sono persone, non funzioni narrative.
Il corpo femminile, un tempo concepito come elemento decorativo, diventa oggi strumento espressivo. Non si tratta più di mostrare perfezione, ma di restituire esperienza. Una cicatrice, un movimento esitante, un momento di cedimento o una decisione improvvisa diventano materiali narrativi. La fisicità delle protagoniste non serve a compiacere: serve a raccontare.
Parallelamente cambia il modo in cui viene rappresentato il potere. Nei mondi digitali contemporanei, molte scelte decisive che orientano la trama sono affidate a figure femminili. Non seguono un percorso stabilito dall’eroe: lo generano. Guidano rivoluzioni, ricostruiscono comunità, sfidano strutture oppressive, modificano destini individuali e collettivi. La leadership femminile non appare come un’eccezione ma come una componente organica della narrazione, in equilibrio tra responsabilità, sensibilità e determinazione.
L’evoluzione del femminile nel gaming riflette il bisogno di rappresentazioni più sincere e più aderenti alla realtà. Le nuove guerriere digitali non parlano di un empowerment idealizzato, ma di una libertà concreta di essere imperfette, emotive, controverse. Raccontano identità non lineari, rinascite difficili, scelte che non cercano legittimazione ma coerenza.
Nel 2025 queste protagoniste non stanno semplicemente modificando la struttura narrativa dei videogiochi: stanno ridefinendo l’immaginario del femminile contemporaneo. Attraverso mondi post-apocalittici, città decadenti, terre selvagge o paesaggi futuristici, costruiscono un modello di presenza nuovo, più umano e più complesso. Una rivoluzione silenziosa ma incisiva, destinata a lasciare un’impronta profonda non solo nel medium, ma nel modo in cui la cultura rappresenta e comprende le donne, dentro e fuori il digitale.