il Giornale, 27 novembre 2025
La musica oscura (e magica) di Hoffmann lo scrittore che si fece chiamare Amadeus
«Lo scopo dell’arte in generale non è altro che quello di fornire all’uomo un piacevole intrattenimento, e quindi di distrarlo dalle attività più serie o meglio, dall’unica attività che gli si addice, cioè quella che gli fa guadagnare il pane e l’encomio dello Stato, in modo che possa poi tornare con attenzione e vigore raddoppiati al vero scopo della sua esistenza: essere un efficiente ingranaggio nel macchinario tessile dello Stato, e poter così (mi attengo alla metafora) ruotare e ammatassare. E nessuna arte è più adatta a questo scopo della musica». Così si legge all’inizio delle Brevi considerazioni del maestro di cappella Johannes Kreisler sull’alto valore della musica, uscite nel 1812 sulla Allgemeine musikalische Zeitung; e bisogna subito notare due dettagli, che poi dettagli non sono. Primo: le «considerazioni» valgono per antifrasi, poiché per l’autore il valore della musica è effettivamente «alto», mentre il suo rapporto con l’ingranaggio dello Stato (nel suo caso, quello prussiano) era quantomeno inceppato. Secondo: Johannes Kreisler non è il suo vero nome, perché questo maestro di cappella rigoroso e irriverente, serissimo e passionale, è l’alter ego di E.T.A. Hoffmann (1776 – 1822).
Kreisler non è un personaggio passeggero: entra nella vita dello scrittore nel 1809, nei Dolori musicali del maestro di cappella Johannes Kreisler che riecheggiano nel titolo quelli di Werther e, fin dalla sua prima apparizione, non si contiene in nulla, insomma, è uno da giudizio drastico, nel bene e nel male. Ecco un esempio del secondo caso: «Strilla pure, squittisci, miagola, gorgoglia, lagnati, gemi, tremola e trilla allegramente: ho pigiato il pedale del Fortissimo e suono fino a diventare sordo. O Satana, Satana! quale dei tuoi spiriti infernali si è introdotto in questa gola, che pizzica, mozzica e biascica tutte le note?... Mi fischiano le orecchie, mi batte la testa, mi tremano i nervi». Che cosa fa il povero Kreisler, a questo punto? «Bevo! È giusto che un onesto musicista sia tormentato con la musica come sono stato tormentato io oggi, e come vengo così spesso tormentato? In verità, nessuna arte è così dannatamente maltrattata, come la meravigliosa, santa musica». Del resto non è un caso che Hoffmann si sia scelto un musicista come controfigura e se ne sia fatto accompagnare in tutta la sua produzione letteraria (dalla raccolta Kreisleriana del 1814, che appare nei Pezzi fantastici alla maniera di Callot, fino al romanzo Il gatto Murr, in cui la biografia di Kreisler si intreccia a quella del felino), come non è un caso che Robert Schumann si ispiri a lui per la sua Kreisleriana del 1838, un ciclo di pezzi per pianoforte fondamentale per la musica romantica. Infatti nella sua esistenza, tutt’altro che lineare, Hoffmann è fin dall’inizio un musicista: benché nella natía Königsberg si fosse iscritto a giurisprudenza, dal mondo delle toghe ebbe ben poca soddisfazione (riuscì a diventare giudice solamente nel 1814 a Berlino), mentre fin dal 1799 cerca fortuna attraverso la musica. A Poznan, per la prima volta, vengono eseguite le sue composizioni; a Bamberga diventa direttore d’orchestra e teatrale, oltre che insegnante; è compositore e una sua opera in tre atti, Undine, da lui musicata su un libretto di Friedrich de la Motte Fouqué, viene rappresentata nel 1816 a Berlino e ottiene un successo clamoroso.
È a Bamberga, fra il 1808 e il 1813, che Hoffmann inizia a scrivere per la Allgemeine Musikalische Zeitung di Lipsia: nel 1809 sulla rivista viene pubblicato il suo primo racconto, Il cavaliere Gluck, dedicato a uno dei compositori che più ama. Ma comincia anche una attività di recensore musicale che porta avanti per tutta la vita, in parallelo alla scrittura dei racconti e dei romanzi, e che fa finire sotto la sua penna (o quella di Kreisler) le note dei più o meno grandi dell’epoca e non solo: Gluck appunto, l’adorato Mozart per amore del quale, nel 1813, muta il suo terzo nome da Wilhelm in Amadeus, l’amatissimo Beethoven, Spontini, Palestrina, Rossini, Sacchini, André, Witt, Paer...
Insomma la musica non fu una passione di Hoffmann: fu la sua passione e, per scoprirlo, basta aprire lo splendido volume Gli scritti sulla musica, che la casa editrice L’orma pubblica nella sua collana Hoffmanniana e che raccoglie per la prima volta in italiano tutto il «magico e fatato universo musicale» del padre della vena oscura e fantastica della letteratura. Alcuni di questi testi segnano dei punti fermi anche nella critica musicale: per esempio, Hoffmann è il primo cultore di Giovanni da Palestrina, che esalta per la sua musica pura («semplice, vero, devoto come un bambino... comporre era per lui un esercizio di religione») e che rappresenta per lui il massimo fra gli «antichi maestri italiani», irraggiungibili nel canto. Solo in Mozart, secondo Hoffmann, rivive questa arte suprema, e soprattutto in Don Giovanni (a cui dedica anche una novella), che considera il modello dell’opera romantica: «Mozart ci conduce nelle profondità del regno degli spiriti. La paura ci avvolge: ma, anziché un tormento, essa è piuttosto un’intuizione dell’infinito. Amore e malinconia risuonano con voce soave, la notte del mondo degli spiriti si dissolve in un luminoso bagliore viola» scrive in La musica strumentale di Beethoven. In questo testo, e nella recensione dedicata alla Quinta Sinfonia, Hoffmann delinea il suo concetto di musica come «arte indipendente» che, a suo parere, andrebbe riferito alla sola musica strumentale «la quale, disdegnando ogni aiuto, ogni commistione con un’altra arte (la poesia), esprime autonomamente la pura essenza dell’arte musicale». E, tanto quanto Mozart è il maestro dell’opera, il maestro della musica strumentale è Beethoven: «Ci apre il regno del mostruoso e dell’immenso» e «trascina l’ascoltatore nel meraviglioso regno spirituale dell’infinito». Proprio questo è il miracolo della musica: «È la più romantica di tutte le arti: la sola, si potrebbe dire, autenticamente romantica, poiché il suo unico oggetto è l’infinito. La lira di Orfeo aprì le porte dell’Averno.
La musica apre all’uomo un regno sconosciuto; un mondo che non ha nulla in comune con il mondo esterno che lo circonda, che egli percepisce attraverso i sensi e nel quale lascia tutti i sentimenti ben definiti per abbandonarsi a un inesprimibile anelito». Un mondo oscuro e fantastico, che tanto somiglia a quello di Hoffmann, alla magia che portò in scena con la sua Undine, in quel 1816, e che sparse nella letteratura, per i «sensi» di tutti noi...