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 2025  novembre 27 Giovedì calendario

È il successo che uccide. Così i cantanti famosi muoiono molto prima

C’è perfino un circolo, a cui nessuno vorrebbe essere iscritto, il cosiddetto Club 27: vi sono affiliati Kurt Cobain, Brian Jones, Jimi Hendrix, Janis Joplin, Jim Morrison e Amy Winehouse. Tutti morti all’età di 27 anni, nel pieno della loro fama, in molti casi bruciati in un rogo di dipendenze e disperazione. E poi ci sono Ritchie Valens (quello della Bamba) morto a 17 anni, Sid Vicious a 21 anni, Jeff Buckley a 31, Bob Marley a 36, John Lennon a 40, Elvis Presley a 42, Dolores O’Riordan a 44, Freddy Mercury a 45, Michael Jackson a 50, George Michael a 53, Prince a 57. Tutti scomparsi più o meno giovani ma comunque molto prima di mettersi un plaid di paillettes sulle ginocchia.
Certo, poi ci sono i casi contrari, quelli di artisti dalla longevità musicale a prova di Inps, in qualche caso, come per Mick Jagger, 82 anni, senza nemmeno cadere nel ridicolo. Però certo, quella delle rockstar è una vita pericolosa, estrema, che si nutre di eccessi, anche se la storia è piena di cantanti che a vent’anni si fanno di eroina e a cinquanta bevono acqua minerale naturale e mangiano macrobiotico. Essere una star è un mestiere usurante, e più si è famosi e meno si campa. Almeno quest a è la tesi di uno studio pubblicato online sul Journal of Epidemiology & Community Health. I ricercatori dell’università Witten/Herdecke (Germania) hanno confrontato retrospettivamente il rischio di morte di 648 cantanti di Stati Uniti ed Europa, metà dei quali aveva raggiunto lo status di celebrità e l’altra metà no. Ciascuna delle 324 star è stata confrontata con i colleghi meno noti in base ad anno di nascita, sesso, nazionalità, etnia, genere musicale e status di solista o frontman di una band. E il risultato è che i cantanti celebri se ne vanno al creatore mediamente a 75 anni, circa quattro anni prima rispetto ai coetanei che non hanno raggiunto lo status di celebrity e comunque prima dell’aspettativa di vita media del mondo occidentale. Una consolazione per quelli che non ce l’hanno fatta, ma chissà se questi baratterebbero quarantotto mesi di vita da signor Rossi (e non parliamo di Vasco) per l’immortalità.
Secondo i ricercatori tedeschi non si tratta di una casualità, il campione statistico non lo ammette. La vita da star è più breve, a causa probabilmente dello stress, delle responsabilità, dell’ansia da prestazione, delle maggiori tentazioni e di altri effetti collaterali della fama, che ne uccide di più della fame.
Curioso entrare nei dettagli della ricerca. I nomi dei «famosi» sono stati presi dalla «Top 2000 Artists of All Time» e sono stati inclusi solo gli artisti attivi dopo il 1950 e prima del 1990, per raccogliere informazioni sufficienti sul rischio di morte entro la fine di dicembre 2023. Non è chiaro invece come siano stati scelti i loro colleghi sfortunati. Forse davanti a un cantiere?
Altre chicche: l’appartenenza a una band è associata a un rischio di morte inferiore del 26 per cento rispetto ai solisti, mentre solo per due di loro (lo 0,6 per cento) la fama è arrivata postuma. Il rischio elevato di morte nei casi analizzati è iniziato solo dopo aver raggiunto la fama ed è rimasto significativamente associato per tutto il periodo della vita da celebrità.
Ciò suggerisce, ragionano gli autori, che l’aumento del rischio di morte non è attribuibile a differenze di base o a una causalità inversa per cui una morte precoce contribuisce alla fama, ma che questo rischio emerge specificatamente dopo il raggiungimento della fama.
Insomma, essere famosi è pericoloso. Sembra lo slogan dell’associazione che raccoglie tutti i perdenti del mondo. Che si godono la pensione, se ce l’hanno.