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 2025  novembre 27 Giovedì calendario

Intervista a Luca Zingaretti

Luca Zingaretti, a che cosa sta lavorando?
Un film sull’Intelligenza artificiale. Viaggia a velocità supersoniche, laddove filosofia e politica – che dovrebbero normare eticamente e legislativamente – vanno a una lentezza impressionante. L’impatto di qui a due, tre anni sulle nostre vite sarà devastante: l’Ia cambierà antropologicamente l’essere umano.
Lo dirige?
Produco e interpreto. Dietro la macchina da presa Giuseppe Gagliardi, sceneggia Paolo Giordano.
Alla regia ha esordito con La casa degli sguardi: a quando l’opera seconda?
Ho due storie tra le mani: alterno i periodi di lavoro, a un certo punto una prenderà il sopravvento.
Sul set vorrebbe portare Garibaldi…
Con le debite proporzioni, per me è quello che Napoleone è stato per Kubrick: il progetto di una vita. Ma come fai oggi con l’asfissia di cui soffre il cinema italiano a fare un film su Garibaldi? Verrebbe proprio male, sarebbe misero: devi avere i mezzi. Noi italiani conosciamo una infinitesima parte di quel che ha fatto, scritto e pensato: un personaggio gigantesco, mi piacerebbe farne un film degno, magari con finanziamenti americani.
Quarant’anni fa si diplomava all’Accademia Silvio D’Amico: ricordi?
Entrare fu una grande emozione, significò rinunciare alla mia grande altra passione, il calcio. Giocavo nel Rimini, arrivò il telegramma, mollai gli scarpini e corsi a Roma con il cuore in gola.
Ruolo, in campo?
Mediano di interdizione, oggi si direbbe regista basso: facevo ripartire l’azione, tanti polmoni e piedi buonini.
All’Accademia trova Andrea Camilleri.
Un uomo di quella classe che ha reso l’Italia grande. Senso etico, del dovere, del rispetto: s’è buttato via lo stampino. Mi colpì da subito la sua capacità di trovare lo straordinario nell’ordinario, e poi che tra tutti i professori fosse l’unico che ci trattava non da alunni, bensì da colleghi. Giovani ma professionisti.
A Montalbano come arriva?
Mi ci imbatto in libreria, e penso a un omonimo: sfoglio, e ‘no, ma è proprio Andrea’. Rimango fulminato, chiamo la mia agente (oggi è Moira Mazzantini, ndr) dell’epoca, Carol Levi: ‘Guarda, anche se lo vogliono alto, biondo e con gli occhi azzurri io voglio fare il provino’.
E?
Pattuglia nutritissima, i provini durarono sei mesi. Quando seppi che avevo vinto, chiamai Camilleri, e lui: ‘Ti devo dire con grande sincerità che io non tifavo per te. Però so che tipo d’attore sei, vedrai che farai un bel lavoro’.
L’approdo sul set?
Avevo studiato per sei settimane, ma dopo la prima di riprese Montalbano non mi veniva. Il sabato chiamo Camilleri: ‘Non ce la fai perché sei ancora con la testa, lasciati andare, e lavora con il cuore’
. Mi confortò, ma non abbastanza, sicché la domenica ritelefonai. Mi fece parlare un quarto d’ora, poi: ‘Luca, non mi rompere i coglioni!’.

Efficace?
Una grande spinta
. Mi permetta, un’ultima cosa: nonostante fosse diventato uno degli autori più celebrati in Italia e nel mondo, con milioni di copie vendute, Camilleri ha sempre trattato l’umile e il principe allo stesso modo.
Il successo a lei l’ha cambiata?
Ho avuto due grandi fortune: una lunga gavetta teatrale, mangiavo una volta al giorno, ché la diaria non bastava, ho conosciuto il sudore e la fatica del palcoscenico; il successo – parola che non mi piace, meglio notorietà – è arrivato a 36 anni.
Nel 1987 il battesimo, Occhiali d’oro di Montaldo, da Bassani.
Ancora mi ricordo la battuta: ‘Hey doctor, have you ever seen a boxing match? People think it’s a brutal sport, but it’s just a matter of style’. La rifeci quattro volte, sempre più piccino. Da buon inglese cinico, Rupert Everett me la ripeté in italiano, a sottolineare come non ne fossi capace: avessi avuto una Luger, gli avrei sparato in testa. Philippe Noiret mi consolò: ‘La prima volta che ho recitato in inglese mi hanno cacciato’, e Giuliano Montaldo: ‘Luca, ce l’hai tenuto nascosto, ma lo sappiamo tutti che ti dividi tra questo film e il teatro, nun te preoccupa’’.
L’usuraio di Vite strozzate fu il suo primo protagonista.
Devo ringraziare Ferzan Ozpetek, l’allora aiuto-regista di Ricky Tognazzi. Girava per i teatri di Roma, divenne un mio fan. Fuori tempo massimo, mi fece fare un provino clandestino, e inserì il vhs tra quelli ufficiali. Ricky e la sceneggiatrice Simona Izzo – mi raccontò – lo insultarono: ‘Come ti permetti, disgraziato!’. Venni preso.
Gian Luigi Rondi scrisse che somigliava al Marlon Brando di Apocalypse Now.
E chi se lo scorda!
Zingaretti, che cosa significa interpretare?
Diffido dei colleghi che devono fare Gesù Cristo e giurano: ‘Mi è venuta in sogno la Madonna’. Non capisco bene che voglia dire immedesimarsi in un personaggio, ma so che sul palcoscenico arriva l’onda degli spettatori, e l’attore ci surfa.