il Fatto Quotidiano, 27 novembre 2025
Santanchè insultò il suo accusatore: vuole di nuovo lo “scudo” del Senato
Non è bastato il conflitto di attribuzione per allontanare un altro rinvio a giudizio. Ora i suoi colleghi di centrodestra dovranno pure salvarla dal processo per diffamazione: sarà infatti il Senato di Ignazio La Russa a decidere se le parole riservate dalla ministra del Turismo Daniela Santanchè a Giuseppe Zeno (che con le sue denunce ai magistrati ha fatto scoppiare il bubbone Visibilia) meritano lo scudo dell’immunità riservato alle opinioni espresse dai parlamentari.
E questo anche se la querelle che la vede contrapposta al suo grande accusatore riguarda esclusivamente la sua attività di imprenditrice: Santanchè però ha invocato il suo status di senatrice – e dunque le guarentigie costituzionali – costringendo il giudice del Tribunale di Roma a sospendere il processo per diffamazione e a trasmettere gli atti a Palazzo Madama. L’esito appare scontato: blindatura per la ministra di Fratelli d’Italia nonostante tutto
Proprio al Senato, durante l’ora più buia delle dimissioni richieste per via dei boatos sull’inchiesta per bancarotta e falso in bilancio, la ministra aveva attaccato Zeno. Era il 5 luglio 2023 e in aula Santanchè giurò sul suo onore di non essere iscritta nel registro degli indagati, cosa smentita praticamente in diretta dalla procura di Milano.
Lei però non aveva rinunciato all’invettiva denunciando invece le condotte “sporche e schifose” di certa stampa, oltre che l’ipocrisia delle critiche feroci delle opposizioni e in particolare di chi “in privato prenotava tavoli” nei suoi locali.
Poi era passata a Zeno “una sorta di finanziere – aveva detto – che è partito molti anni addietro da Torre del Greco, si è trasferito prima a Londra, poi in Svizzera e successivamente a Montecarlo e ora risiede alle Bahamas”. Per poi affondare il colpo accusandolo di “inverosimili e oscure manovre” dopo aver tentato di costringerla “ad accordi inaccettabili”.
Insomma, un’autoassoluzione piena utile a uscire dal pantano e contrattaccare: “Non posso aggiungere altro perché sarà oggetto di apposita inchiesta giudiziaria che chiarirà, anche grazie a registrazioni vocali, le finalità che hanno ispirato chi ha attivato tutto ciò – aveva continuato – quando poi un socio di minoranza, residente nelle Bahamas, di cui credo di aver detto tutto prima, ha avanzato proposte per noi irricevibili, lo abbiamo contestualmente diffidato tramite uno studio legale”.
È invece finita che Santanchè era stata citata a giudizio a dicembre scorso dalla Procura di Roma per diffamazione aggravata dopo la denuncia presentata da Zeno: a giugno il giudice monocratico di Roma Alfonso Sabella ha deciso di mandarla a processo (per la diffamazione aggravata dall’attribuzione di un fatto determinato durante la diretta sul canale Youtube del Senato): la ministra aveva invece sollecitato il non luogo a procedere o al limite la trasmissione degli atti a Milano. Ora l’arma finale: lo scudo dell’insindacabilità delle opinioni che, a suo dire, le spetta in quanto parlamentare.
La Giunta delle autorizzazioni di Palazzo Madama non è stata ancora convocata, ma entro la fine dell’anno potrebbe già decidere di salvare la ministra del Turismo visto che la destra ha la maggioranza.
Un altro aiutino dopo quello ancor più grosso elargito in suo favore a settembre quando le destre a trazione meloniana avevano detto sì al conflitto di attribuzione da lei sollecitato in vista dell’udienza preliminare in cui avrebbe rischiato un altro rinvio a giudizio (la ministra è già a processo per falso in bilancio): il Senato ha trascinato di fronte alla Corte costituzionale i magistrati di Milano che la accusano di truffa ai danni dello Stato per l’utilizzo della cassa Covid per i dipendenti di Visibilia.