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 2025  novembre 27 Giovedì calendario

Adriano Giannini: "Sono un uomo che non tradisce"

«La bellezza? Non ci ho mai pensato più di tanto. Da ragazzino, alle elementari e poi alle medie, capivo di avere una certa presa sul genere femminile. Forse perché ero un po’ timido, un po’ ombroso, un po’ casinista. Però l’immagine più impressa è quella di me stesso piccolo, davanti allo specchio, che mi guardavo, mi chiedevo perché mai c’erano ragazzine interessate a me e mi dicevo “ma io sono brutto"». Romano, 54 anni, figlio di Giancarlo Giannini e Livia Giampalmo, Adriano Giannini è un figlio d’arte che ha fatto una lunga gavetta, come aiuto operatore, e poi è esploso, dall’altra parte della macchina da presa, grazie al talento, certo, ma anche a quel fascino scontroso che lo fece scegliere come partner di Madonna nel remake di Travolti da un insolito destino nell’azzurro mare d’agosto, in cui Guy Ritchie si misurava con il classico di Lina Wertmuller. In questi giorni, mentre è in Brasile, impegnato nelle riprese del nuovo film di Marco Bechis, Giannini è al Tff con Separazioni di Stefano Chiantini, mentre, nei cinema, arriva da oggi, Breve storia d’amore di Ludovica Rampoldi, quadrangolo amoroso in cui interpreta Rocco, trascinato in una relazione extraconiugale dalla trentenne Lea (Pilar Fogliati).
Coppie, amore, tradimenti. Lei che tipo è, fedele?
«Non sono San Francesco o Sant’Antonio, però sì, sono fedele e ci credo. Penso che la fedeltà sia ancora un valore determinante in una relazione. Sono convinto che tutto quello che si fa, al di fuori della coppia, a iniziare dai tradimenti, in qualche modo poi rientri nella dinamica del rapporto. Mi è sempre sembrato impossibile gestire relazioni che implichino un’intimità così esplicita, insomma fare finta di niente e poi tornare a casa».
È vero, secondo lei, che gli uomini tradiscono di più?
«Io sono convinto di sì, tradiscono di più gli uomini, però ne ho parlato in giro e forse non è più esattamente così. Insomma, siamo al 50%. Sinceramente, pensando a tutte le cose viste nella mia vita, nei viaggi lunghi, sui set, da operatore e poi da attore, ho sempre osservato una certa facilità dei maschi… che raramente comprendevo».
Forse le donne tradiscono un po’ meno, però possono essere pericolose. Che ne dice?
«Le donne per noi uomini sono sempre pericolose, perché ci mettono a nudo, hanno la capacità di andare a fondo, di addentrarsi nei meccanismi emotivi. In relazione alla coppia, ma anche in generale nella vita. Se l’uomo avverte un problema di coppia, ci pensa qualche minuto e poi va oltre, una donna è capace di rifletterci pure per otto ore. Così succede che, inevitabilmente, il confronto, alla fine, sia impari»
. Si sente un uomo all’antica?
«Per certe cose sì, e ne sono anche contento. Mi sono stati trasmessi dei valori, sul piano etico e morale, penso per esempio ai miei nonni partigiani che hanno combattuto, e li difendo, con fermezza».
Che cosa cerca in questo momento della carriera?
«Quello che ho sempre voluto e adesso voglio ancora di più è la qualità del tempo lavorativo. Mi interessa che l’esperienza delle riprese sia divertente, sia un’occasione di comunicazione e creatività, libera dalla prevalenza dell’ego. Per me è fondamentale che si scherzi e si giochi, che il tempo del lavoro sia il migliore possibile, improntato allo scambio e alla verità umana. Dei tanti film che ho fatto, quello che mi è rimasto, alla fine, è sempre stato l’incontro umano».
Le ha dato noia rispondere per anni, a domande su suo padre Giancarlo Giannini?
«Non ne ho mai sofferto troppo, magari alla trentesima volta ho pensato “che palle”. Ho fatto una gavetta dura, seria, durata tanti anni, è come se mi fossi conquistato, anche agli occhi degli altri, il diritto di far parte della comunità del cinema».
Giancarlo Giannini va a vedere i film di suo figlio Adriano?
«Secondo me no, forse qualcosa va a vederla, ma poi non mi dice tanto. Ma noi siamo fatti così, non ci diciamo tanto».
Da ragazzo sembrava un tipo attaccabrighe. È così?
«Non sono mai stato un tipo conflittuale, e comunque ora ho imparato, sia nel lavoro che nella vita, a deviare i conflitti. Ho letto un libro che mi ha ispirato tantissimo, l’ha scritto il fondatore della comunicazione non violenta, Marshall Rosenberg, si chiama Il linguaggio giraffa, perché la giraffa è l’animale con il cuore più grande. Insegna a capire le motivazioni delle persone che ti provocano disagio dicendoti certe cose. La fase successiva, la più complessa, riguarda la capacità di essere empatici con se stessi».
È tornato a vivere a Roma dopo un periodo a Milano. Che cosa le mancava?
«Per un romano Milano è un po’ difficile, mi sentivo spiazzato, più che altro per l’assenza di verde, a Roma siamo abituati bene. La visione del cemento e l’assenza di salite e discese mi faceva soffrire».
Qual è il suo rimpianto più grande?
«Non aver fatto lo sportivo, ero dotato, giocavo a tennis e sono sempre stato affascinato dal gesto atletico. Forse, non avendo un’indole competitiva, avrei avuto bisogno di uno di quei mental coach che ti fanno diventare spietati. Tendevo a mollare, diventavo bravo in qualcosa e poi lasciavo perdere».
Ha un rimorso?
«Sì, una volta ho lasciato il mio cane a una persona perché dovevo girare un film. Il cane è morto e io non c’ero, non sono riuscito a raggiungerlo prima che se ne andasse. È stata una grande sofferenza, solo a parlarne mi torna il magone».
Adesso ha un altro cane?
«Certo, ho sempre bisogno di un cane, adesso ho un labrador, femmina. Da vent’anni ho sempre labrador femmine».