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 2025  novembre 27 Giovedì calendario

Sanità, dai pronto soccorso all’ambulanza: ecco la classifica delle attese nelle città

Il tempo è sempre un fattore determinante in sanità, ma probabilmente in nessun ambito è centrale come quando si tratta di soccorrere qualcuno in ambulanza. Ebbene, in Italia ci sono zone dove, per i codici gialli e rossi, il mezzo di emergenza arriva addirittura mezz’ora dopo l’inizio della telefonata di chi ha chiesto aiuto. Succede al Sud, specialmente in Calabria, ma anche a Roma, in Umbria, a Grosseto, posti dove può capitare di aspettare oltre 20 minuti. Comunque troppo. “Considerata l’importanza di garantire risposte ed interventi tempestivi, adeguati, ottimali a tutte le richieste sanitarie del cittadino che rivestono carattere di emergenza-urgenza, la valutazione del tempo di risposta è una variabile significativa per descrivere l’efficienza di un sistema di emergenza sanitaria territoriale”, spiega Agenas, l’Agenzia sanitaria nazionale delle Regioni che ha raccolto i dati sulle performance di aziende sanitarie e ospedaliere in vari settori.
La maglia nera ce l’ha la Asl di Vibo Valentia, con una media drammatica, di 35 minuti. Sulla mezz’ora anche nelle altre aziende calabresi. Oristano è a 26 minuti, Messina a 25. Agenas ha valutato tutte le 110 aziende sanitarie italiane e ben 41 hanno tempi superiori ai 20 minuti. Sono troppo lunghi. Le linee guida dicono che il target nazionale è di 18 minuti, tenendo conto del tempo che ci vuole per la telefonata e l’invio del mezzo, ma anche del fatto che nella media entrano interventi in città dove ci sono tanti mezzi di soccorso (e in alcune gli interventi si fanno in 8 minuti) e in zone rurali e isolate, più sguarnite di servizi sanitari. Le Asl con i tempi migliori sono quella Giuliano Isontina (Trieste e Gorizia), dove l’ambulanza giunge sul posto in 12 minuti, seguita da Piacenza, Chiavari, Reggio Emilia, Parma, Genova, con 13 minuti. Da sottolineare che la Asl che vanno peggio sono quelle più piccole, le grandi hanno dati migliori pur insistendo su territori appunto più estesi.
Ma quando si parla di emergenza, contano anche altri tempi, ad esempio quelli di attesa al pronto soccorso. Agenas li valuta e questa volta si parla di pazienti non gravi o che comunque non hanno bisogno del ricovero. L’indicatore in questo caso valuta la percentuale di persone che aspettano da otto ore in su nelle aziende ospedaliere, cioè nei policlinici. Ebbene a Tor Vergata a Roma capita addirittura al 25% dei pazienti, cioè una persona su quattro tra coloro che entrano nelle sale dell’emergenza e non hanno bisogno del ricovero. Sempre nella capitale, al Sant’Andrea, il dato è del 23%. Cagliari, Giaccone e Cervello di Palermo, Cardarelli di Napoli sono tra il 20 e il 23%. Distanti anni luce il San Carlo di Potenza (una struttura del sud che va bene) con l’1% e l’ospedale di Padova con il 2,9%.
Altro segnale di difficoltà dei pronto soccorso è dato dagli abbandoni dei pazienti. Cioè di coloro che se ne vanno prima di essere visti, presumibilmente per le attese troppo lunghe (e anche perché magari il problema che li ha portati in coda non era così importante). E del resto, in testa alla classifica ci sono ospedali in difficoltà anche nell’indicatore della durata delle attese. Dal Cervello di Palermo vanno via addirittura il 24% dei pazienti, dall’ospedale dei Colli di Napoli il 23%, dal Civico e dal Giaccone di Palermo il 18%, da Tor Vergata il 15% e così via. E la dicono lunga anche i migliori. A Padova lascia sulo l’1% dei pazienti e a Pavia l’1,2%. Ma il record lo ha il Santa Maria di Trapani, con lo 0,3%.
E se si parla di attesa, non si possono ignorare gli interventi chirurgici. Agenas valuta come vanno sia quelli oncologici, nelle aziende ospedaliere, che quelli programmati, per problemi meno gravi, questa volta all’interno delle Asl. Ancora una volta emerge quante differenze ci siano in Italia ma anche all’interno delle stesse Regioni. Se si guarda quanti interventi di tumore alla mammella vengono fatti entro 30 giorni, cioè rispettando lo standard fissato dal ministero alla Salute, il quadro è variegato. Ci sono realtà, come l’azienda ospedaliera di Pisa (addirittura al 100%), Modena, Verona, Siena, Padova, Sant’Anna di Ferrara, San Matteo di Pavia, Rodolico San Marco di Catania, Sant’Orsola di Bologna, Careggi di Firenze, Tor Vergata di Roma, Cannizzaro di Catania, San Carlo di Potenza, Cervello di Palermo, Niguarda di Milano e Santa Croce di Cuneo che sono sopra il 90%. Il Brotzu di Cagliari, invece, raggiunge un misero 12%, Perugia è al 13%, l’ospedale di Ancona al 20%, il Moscati di Avellino al 28%. Ma sono tante le strutture insufficienti.
Guardando invece alle Asl e a interventi programmabili come quello per togliere la colecisti o per mettere le protesi di anca ginocchio e spalla, vengono fissate classi di priorità a seconda delle condizioni del paziente. Sono rispettate nella gran parte dei casi, cioè oltre il 90%, in Asl del Nord e del Sud, come quelle di Napoli Sud e Centro, Euganea, Trevigiana, Serenissima (Venezia), Berica, Avellino, Benevento, Crotone, del Polesine. Ma vanno male Cuneo, appena il 12% di operazioni fatte rispettando i tempi, Rieti (14%), Matera (20%), Torino 3 (25%) e così via.