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 2025  novembre 27 Giovedì calendario

E la riforma fa litigare gli studiosi di procedura penale

Botta e risposta, sulla riforma costituzionale della magistratura, nell’«Associazione tra gli studiosi del processo penale “Gian Domenico Pisapia”», che riunisce 180 professori universitari di procedura penale. Il direttivo, con 6 voti favorevoli (il presidente Adolfo Scalfati, Sergio Lorusso, Giulio Garuti, Filippo Dinacci, Mariangela Montagna, Daniele Negri) e uno contrario (Michele Caianiello) pubblica un documento in cui apprezza che il testo, al netto delle «polemiche di schieramento circa gli scenari suscettibili di prodursi in un ipotetico futuro, tenda ad una più concreta attuazione del “giusto” processo dell’art. 111 della Costituzione»; e dia un «contributo positivo» alla «cruciale esigenza» di evitare, «indipendentemente da ciò che è, anche solo il sospetto che la solidarietà nascente dalla condivisione di vedute, interessi e prospettive di carriera, in seno al corpo unitario gestito da un comune organo di governo autonomo, possa far velo alla necessaria equidistanza del giudice». Ma 41 professori (di 23 atenei) contestano al direttivo il metodo, e cioè aver preso questa posizione senza prima consultare i soci sul se e sul come. Il direttivo, eletto nel 2022, ribatte d’aver esercitato facoltà riconosciute dallo statuto e di rappresentare peraltro la maggioranza. Ma in un contro-documento i 41 osservano che «una non semplicistica comparazione» con l’estero, «e una lettura non affrettata della giurisprudenza sovranazionale, dimostrano che non c’è una correlazione necessaria» tra processo accusatorio e carriere separate, «e che nei Paesi a forte tradizione accusatoria le radici professionali di pm, avvocato e giudice sono comuni». Inoltre le «notevoli criticità» nello sdoppiamento del Csm, sorteggio sfasato tra togati e laici, e composizione dell’Alta Corte disciplinare, sono «affidate alla legislazione ordinaria, con il pericolo di soluzioni condizionate dalla maggioranza politica del momento»; e rischiano «di portare a un mutamento genetico del pm, destinato a configurarsi sempre più come organo schiacciato su mere istanze di repressione», con «un progressivo indebolimento delle garanzie per indagati e imputati».