Corriere della Sera, 27 novembre 2025
«Voterò sì al referendum, giusto avere due Csm e l’Alta corte. Tanti nel Pd sono d’accordo»
«Al referendum voterò sì».
Ma non teme che le dicano che lei, con la sua storia, sta facendo il gioco della destra?
«Qualcuno sicuramente lo pensa, finora nessuno me lo ha detto. È vero invece che dal Pd ho ricevuto diverse chiamate di apprezzamento. Molti in quell’area hanno la mia medesima opinione. Anche se alcuni preferiscono non esporsi. Io comunque rimango coerente con il voto che diedi, da parlamentare comunista, a favore del nuovo processo».
Augusto Barbera, presidente emerito della Corte costituzionale, ex parlamentare del Pci e poi del Pds per 5 legislature, nel costruire il suo ragionamento cita Piero Calamandrei, gli scritti dei padri costituenti, Giovanni Falcone e ripercorre i vari passaggi dal processo inquisitorio a quello accusatorio per spiegare perché, secondo lui, la riforma della separazione delle carriere è cosa giusta.
Professore, ma ne è sicuro? Già attualmente le maglie sono strettissime ed è quasi irrilevante il numero di chi passa da una funzione all’altra.
«Questa è una affermazione insignificante perché non si considera un aspetto fondamentale. E cioè che attualmente giudici e pm sono insieme nel Csm e insieme si giudicano. Per questo è corretto che ci siano due Consigli superiori, uno per i giudici, uno per i pubblici ministeri e un’Alta corte disciplinare».
Il rischio però, a cascata, non è quello di schiacciare il pm nel ruolo di superpoliziotto ed esporlo alle direttive del governo di turno?
«Sono critiche analoghe a quelle che parte dell’Anm mosse a Giovanni Falcone quando promosse la creazione della Procura nazionale antimafia. Aggiungo anche che ci sono sistemi, come quello francese, in cui, pur essendo il pm completamente indipendente, il governo può dare indicazioni sulle linee di contrasto al crimine. Purché siano scritte e non attinenti a indagini in corso».
Quindi il rischio di un rapporto più stretto tra esecutivo e pm esiste se poi si dovesse attuare un sistema come quello francese. Magari qualcuno in Parlamento ci sta già pensando.
«Ma neppure quello francese prevede un assoggettamento. È l’uso della parola che è sbagliato. Dare direttive generali di politica penale non significherebbe assoggettare il pm: vedi il caso Sarkozy. Inoltre, se stiamo al dettato di questa riforma, è previsto piuttosto un rafforzamento dell’indipendenza del pubblico ministero, considerato anche che viene mantenuta inalterata l’obbligatorietà dell’azione penale».
Un rafforzamento in che modo?
«Indicando l’indipendenza del pm direttamente in Costituzione all’articolo 104, mentre attualmente è prevista solo dalla legge».
La maggioranza sbandiera la riforma anche come una rivincita di Berlusconi. E c’è anche chi ricorda, tra i critici, che era parte del piano di Licio Gelli.
«Non mi risulta che quando è stata attuata la riduzione dei parlamentari sia stato contestato ai 5 Stelle che era prevista nel piano di Gelli. Anzi. Il punto è che dobbiamo liberarci di certi fantasmi. Se è per questo c’è persino chi afferma con evidente ignoranza che con la separazione delle carriere si torna al fascismo, quando è vero il suo contrario. Ossia che l’appartenenza di tutti i magistrati alla medesima carriera era funzionale al processo di tipo inquisitorio previsto dai codici fascisti. E così invece si attua pienamente il processo accusatorio, così come intendeva fare la stessa Commissione bicamerale presieduta da D’Alema, completando la riforma Vassalli del processo penale».
Il sorteggio per i due Csm consentirà davvero l’abolizione delle correnti, considerato che c’è un listino bloccato riservato alla politica?
«Le camarille ci saranno sempre ma l’estrazione è un primo passo significativo per abolire o contenere questo ginepraio di correnti. Per capire quante sono e a chi fanno riferimento sono dovuto ricorrere all’intelligenza artificiale. Nessuno finora ha saputo indicare altri modi per risolvere il problema. Il punto da cui partire è che al Csm non spetta fare politica giudiziaria, ma decidere su promozioni, trasferimenti e provvedimenti disciplinari dei magistrati. Inizialmente, a fine anni Sessanta, la divisione in correnti corrispondeva a diverse sensibilità politico culturali. Oggi sono gruppi di pressione che influenzano le carriere».
E il listino bloccato riservato al Parlamento non rischia di inficiare tutto?
«Bisognerà attendere le leggi di attuazione e in ogni caso il sorteggio vale anche per la lista del Parlamento».
La vorranno arruolare nel comitato per il sì. Farà campagna elettorale?
«No, ma continuerò a dire come la penso. Il mio auspicio è che la gente vada a votare sui contenuti e non pensando di appoggiare il governo Meloni o di farle un dispetto. Bisogna uscire da una logica di contrapposizione politica, questo non è un bivio tra destra o di sinistra. Si completa la riforma del processo accusatorio, è questo ciò che accade. Vedremo anche come si comporterà la premier in campagna elettorale e se avrà capitalizzato la lezione degli errori commessi da Matteo Renzi quando si arrivò al referendum sulla sua riforma».
Professore, a proposito di azione del Parlamento, anzi in questo caso di inazione, la Corte costituzionale, con lei presidente, si è appellata alle Camere più volte perché adottasse una legge in materia di fine vita. Perché non è ancora accaduto?
«C’è sicuramente una componente cattolica trasversale che non riesce a trovare una sintesi».
È l’influenza della Chiesa che li frena?
«No, è il Parlamento a frenarsi. La Chiesa, con i vescovi, ha fatto un decisivo passo avanti, quando ha invitato le Camere a fare una legge».
Lei è cattolico?
«Sì, come molti dei componenti di quella Corte che approvò la sentenza sul fine vita. Lo ribadisco. Nessuno hai mai riconosciuto un diritto al suicidio assistito. La vita è un valore costituzionale, ma ci sono specifici casi di persone malate in cui non si può non considerare la tutela della dignità e dell’autodeterminazione».
Ci sono progetti di legge della maggioranza che escludono il coinvolgimento del Servizio sanitario nazionale.
«Sarebbe contro quanto è scritto nelle sentenze sul fine vita. Si finirebbe per muoversi sulla base del profitto con la creazione di cliniche private sul modello svizzero».
È giusto che siano le Regioni a farsi le loro leggi?
«Di questo non posso parlare, perché è oggetto di un ricorso alla Corte. Dico però che se le Regioni non possono, allora dovrà farlo lo Stato».