Corriere della Sera, 27 novembre 2025
La partita sulle riserve (un tesoro di 2.400 tonnellate), il pressing di Fratelli d’Italia e i dubbi del Tesoro
Si scherza, ma il cortocircuito è dietro l’angolo. «Bisogna spiegare che questa storia dell’oro non ha nulla a che fare con le catenine della nonna e nemmeno con l’oro alla patria e soprattutto con le riserve auree della Banca d’Italia. Qui si parla della rivalutazione dell’investimento». Nella Sala degli Arazzi di Palazzo Chigi l’ennesimo vertice del centrodestra sulla manovra si consuma all’ora di pranzo, ma senza strappi al tavolo. Gli unici morsi, semmai, sono quelli della fame.
Giorgia Meloni e Giancarlo Giorgetti, la premier e il guardiano dei conti, ascoltano le richieste dei leader delle quattro gambe della maggioranza. Si parla di oro, e i piani della discussione sembrano confondersi.
Una cosa è l’ipotesi di una tassa al 12,5% sul plusvalore degli investimenti in oro. Un’altra, invece, è l’emendamento di Lucio Malan, capogruppo di Fratelli d’Italia, che apre un’ antica questione. Quella di riconoscere che «le riserve auree gestite dalla Banca d’Italia appartengono allo Stato, in nome del popolo italiano». La Banca centrale detiene infatti oltre 2.400 tonnellate di oro – distribuite nei caveau tra Italia, Usa, Regno Unito e Svizzera – come garanzia di solvibilità dei pagamenti pubblici.
La prima discussione, ancora complicata, riguarda appunto una sorta di «tassa preventiva sugli investimenti» per chi detiene capitali in oro; la seconda è una battaglia quasi culturale. La tassa di fatto rischia di saltare, davanti ai dubbi di fattibilità già fatti trapelare dal ministero dell’Economia.
L’emendamento di Malan, invece, affonda le radici nel solco del partito di Meloni. Per FdI l’oro rappresenta una ricchezza nazionale e deve rimanere sotto il controllo dello Stato per garantirne autonomia e indipendenza. A scapito della Bce. Non solo di oro si è parlato a Palazzo Chigi, senza arrivare a un punto di caduta chiaro.
In generale il ministro dell’Economia è apparso agli occhi famelici dei presenti «ragionevole», anche se poi si chiuderà in Via XX Settembre con la responsabile della Ragioneria dello Stato, Daria Perrotta, e il sottosegretario Federico Freni per tessere la coperta da allungare: serve un miliardo di euro.
Meloni quando la riunione inizia a toccare i novanta minuti riporta tutti a terra: «Ora cerchiamo di chiudere, non possiamo rivederci di continuo, tutte le settimane, l’agenda del governo è molto densa. D’ora in poi confrontatevi direttamente con il ministro Giorgetti per le correzioni», il senso dell’intervento della premier. Il vicepremier Antonio Tajani (Forza Italia), sempre sensibile quando si parla di tasse e banche, accoglie l’idea di aumentare di mezzo punto l’Irap agli istituti di «credito grandi» con una didascalia: «Basta che glielo diciate prima». È la battaglia di Matteo Salvini. «Siamo pronti a rivendercela bene in campagna elettorale». Ma anche Tajani si ritiene molto soddisfatto. «Da 1 a 10 direi 7», spiega.
Nessuno dimentica il contesto, e quindi il bicchiere è mezzo pieno un po’ per tutti. Maurizio Lupi di Noi Moderati, per esempio, accarezza l’obiettivo: detrazioni per i libri scolastici, revisione delle rendite catastali per gli immobili, ampliamento delle esenzioni Isee sulla prima casa. Luca Ciriani, titolare dei Rapporti per il Parlamento, ricorda a tutti anche una certa fretta nel portare a casa la Finanziaria senza incidenti.
Da ieri Palazzo Chigi e ministero dell’Economia sono al telefono con i principali istituti di credito per avvisare tutti, con parole avvolgenti, dell’ultima novità. Un ulteriore piccolo contributo per tenere il tavolo in equilibrio senza recriminazioni. Il silenzio è d’oro.