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 2025  novembre 26 Mercoledì calendario

La Cpi insiste alle Nazioni Unite: «La Libia ci consegni Almasri»

Il generale libico Osama Njeem Almasri, ex direttore della polizia giudiziaria libica e responsabile del carcere di Mitiga, accusato di omicidio, tortura e violenze sessuali, rimane destinatario di un mandato di arresto internazionale, ai sensi della Risoluzione 1970 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni unite. Lo ribadisce il trentesimo rapporto della Procura della Corte penale internazionale sulla Libia, relativo al periodo compreso fra maggio e novembre 2025. La relazione, presentata e discussa ieri nel Palazzo di vetro di New York, durante una lunga sessione del Consiglio di sicurezza (terminata quando in Italia era tarda sera), sollecita ancora una volta il Governo di Tripoli a consegnare Almasri, arrestato in terra libica il 5 novembre. E rende noto come l’ufficio del procuratore generale di Tripoli non abbia al momento fornito risposte formali o chiarimenti su quali procedure nazionali siano state avviate (non è ancora chiaro nemmeno dove Almasri sia detenuto) né dato rassicurazioni in merito alla collaborazione con la Corte. Davanti al Consiglio (composto da 15 membri, di cui 5 permanenti Cina, Russia, Stati Uniti, Francia e Gran Bretagna – con diritto di veto), la vice procuratrice della Cpi, Nazhat Shameem Khan, ha ribadito l’impegno a garantire l’arresto del generale e a portarlo alla sbarra all’Aja per rispondere dei crimini contro l’umanità di cui è accusato.
La mancata collaborazione dell’Italia nel dossier
Nelle 26 pagine del rapporto, visionate da Avvenire, si menziona la vicenda – divenuta un caso politico e giudiziario – dell’arresto del super ricercato libico a Torino, il 19 gennaio, della successiva liberazione e del suo trasferimento in patria con un aereo italiano. Si ricorda come la Corte abbia «constatato che l’Italia non ha agito con la dovuta diligenza e non ha utilizzato tutti i mezzi ragionevoli a sua disposizione per ottemperare alla richiesta di cooperazione». E come abbia «invitato l’Italia a fornire informazioni su eventuali procedimenti nazionali rilevanti il caso di specie», negli stessi mesi in cui la questione diveniva materia del Tribunale dei ministri, la cui richiesta di autorizzazione a procedere per favoreggiamento e peculato a carico dei ministri di Interno e Giustizia, Matteo Piantedosi e Carlo Nordio, e del sottosegretario Alfredo Mantovano, è stata respinta dalla Camera dei deputati. L’ufficio del procuratore dell’Aja sottolinea «l’obbligo degli Stati di arrestare e consegnare i sospettati alla Cpi», ai sensi dello Statuto di Roma e della Risoluzione 1970 del Consiglio di sicurezza Onu.
Il caso tedesco (Berlino non ha fatto come Roma)
La non collaborazione del nostro Paese diventa stridente se comparata a un altro caso menzionato nel rapporto della procura della Cpi: l’arresto di Khaled Mohamed Ali El Hishri, alias Al Buti, avvenuto in Germania il 16 luglio 2025, perché accusato a sua volta di diversi crimini contro l’umanità. Secondo quanto annota la procura della Cpi, Berlino non solo ha proceduto al fermo, ma sta ultimando le procedure di consegna in vista del trasferimento a L’Aja. Il suo sarebbe il primo caso di trasferimento di un ricercato dalla Cpi nell’ambito delle investigazioni in terra libica.
Le nuove indagini: altre prove e mandati in arrivo
Nel periodo fra maggio e novembre, si legge nella relazione, c’è stata una fase di «avanzamento senza precedenti» nelle indagini, con 25 missioni investigative in 6 Paesi, l’acquisizione di «1.512 elementi di prova» (materiale «video e audio, prove forensi, immagini satellitari e numerosi screening e interviste di testimoni») e 150 incontri con 54 ong, difensori dei diritti umani e associazioni di vittime. Sono stati richiesti nuovi mandati di arresto per altri individui collegati ad investigazioni sui reati nelle carceri, ma anche ad abusi contro migranti avvenuti nel corso di operazioni militari. I nomi dei destinatari non vengono resi noti dalla Corte per ragioni di sicurezza e lo saranno solo quando lo consentiranno le condizioni operative e la tutela dei testimoni. Altri 9 mandati, già resi pubblici, restano pendenti. Le investigazioni, avverte Khan, proseguiranno «oltre maggio 2026» e che sarà presentato un rapporto immediato al Consiglio di Sicurezza una volta completati i filoni di indagine attivi.
Le inchieste puntano anche sulla tratta dei migranti
Fra le nuove linee d’indagine ampliate dalla Procura, ci sono quelle sui crimini commessi dalle reti transnazionali che gestiscono il traffico verso l’Europa. Le investigazioni (a cui partecipa un Joint team europeo) intendono far luce sulle fasi di trasferimento dei migranti in territorio libico e i movimenti verso la costa. La vice procuratrice Khan ha ha preso parte a una recente udienza del processo iniziato il 3 novembre nei Paesi Bassi contro Tewolde Goitom, alias Walid, imputato di estorsione, traffico di migranti e appartenenza a un gruppo criminale attivo anche in Libia.
Il caos libico, il pressing degli Usa e il niet di Mosca
In seno al Consiglio di sicurezza, dopo l’avvio del conflitto in Ucraina, predomina la divisione nei, con la Russia che ha criticato la relazione della Cpi, addebitando ancora l’instabilità libica all’intervento militare Nato del 2011. Dal canto loro, gli Usa invitano le autorità di Tripoli a cooperare con la Corte per accertare la responsabilità nei crimini. Anche Francia e Inghilterra auspicano collaborazione per l’esecuzione dei mandati della Corte. Ma sul terreno la situazione resta complicata da riassestamenti nelle gerarchie militari dopo l’arresto di Almasri. Un fallito tentativo di assumere il controllo di una struttura riconducibile al comandante Hakim al Sheikh, vicino alla Forza Rada, sarebbe stato innescato da fedelissimi del generale, che accusa Al Sheikh di averlo abbandonato e di essersi allineato al Governo di unità nazionale.