La Stampa, 26 novembre 2025
La baby mania del filler
Non è più la ruga a spaventare, ma l’idea stessa che un volto possa restare «naturale» e per questo non uniformarsi a un «modello». In Italia, sempre più giovani entrano nel circuito della medicina estetica come fosse un passaggio inevitabile, un modo per stare al passo con standard che cambiano in fretta. Secondo una ricerca della Società italiana di medicina estetica (Sime) relativa all’anno 2023, la fascia 19-34 anni concentra ormai tra il 40 e il 45% di tutti gli interventi di medicina e chirurgia estetica: una generazione che non aspetta di invecchiare, ma interviene prima, presa dall’ansia di rimanere indietro rispetto a un canone di bellezza proposto da filtri e influencer. La platea maggioritaria è quella delle ragazze, ma l’accesso si sta allargando sempre di più anche ai maschi. È in questa corsa alla ricerca della perfezione che molti specialisti vedono il rischio maggiore: giovani che, senza accorgersene, iniziano a legare il proprio valore alla possibilità di somigliare a qualcos’altro.
Una parte del fenomeno, quello legato alla prevenzione dell’invecchiamento della pelle, ha un nome che racconta già molto: prejuvenation. Non si tratta di cancellare i segni del tempo, ma di prevenirli, scolpendo un volto giovane secondo il modello estetico dominante. Altro trend è quello del filler «leggero» per ridefinire labbra e zigomi. Interventi che ormai sono diventati routine tra le ragazze sopra i 23 anni. Dietro la spinta c’è un mercato che cresce senza sosta: nel 2023 in Italia sono state eseguite oltre 750 mila procedure estetiche, con un aumento sensibile proprio nella fascia più giovane dell’utenza. Le società scientifiche parlano ormai di un 10-15% di pazienti Under 25, spinti non da esigenze cliniche. «L’aumento del ricorso dei giovani alla medicina estetica rappresenta un problema serio. Molto spesso sono spinti dai social in maniera diretta o subliminale, e ciò comporta il rischio di incontrare medici, o peggio ancora, non medici, che accondiscendono a richieste spesso prive di senso», spiega Emanuele Bartoletti, presidente della Sime. «È importante – aggiunge – prestare attenzione, poiché la dipendenza da questo tipo di terapie sta diventando sempre più preoccupante. Questo porta al rischio di sottoporsi a trasformazioni di cui potrebbero pentirsi in seguito».
Dietro questo fenomeno c’è senz’altro la cultura dell’immagine mediata dai social. Ma ridurre tutto alla Rete sarebbe una lettura parziale, poiché la normalizzazione del ritocco passa anche attraverso la famiglia: sempre più madri – anche se mancano ancora i dati – parlano del filler come di un gesto di cura.
La direzione, dunque, sembra essere quella di una cultura della correzione continua, in cui la naturalezza perde di valore. Gli psicologi lo vedono con chiarezza: tra gli adolescenti e i giovani adulti che inseguono la perfezione estetica si osservano insicurezza identitaria, difficoltà nel tollerare la propria immagine reale. E il confronto costante con modelli irraggiungibili alimenta la sensazione di non essere abbastanza. E la medicina estetica, da strumento potenzialmente utile, rischia di diventare una scorciatoia emotiva per colmare un disagio più profondo. In questo contesto, diventa non più una trasgressione, ma un linguaggio quotidiano, un gesto di manutenzione identitaria. E capire questo passaggio culturale – e il perché i ragazzi lo vivano con tanta naturalezza – è forse il punto di partenza per leggere cosa sta cambiando.