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 2025  novembre 26 Mercoledì calendario

Intervista a Jocelyn

Sono passate le 11 di mattina e Jocelyn Hattab, conosciuto più semplicemente come Jocelyn, si è appena svegliato nella sua casa di Montecarlo dove vive con la moglie Alessandra Chianese. “Mi alzo sempre tardi, la notte è piccola come cantavano le gemelle Kessler”, dice con il suo inconfondibile accento francese. Tra pochi giorni, il 5 dicembre, compirà 80 anni. Un traguardo mica male: “Ma non diciamolo troppo”, scherza. Già protagonista in radio e inventore della figura del video-dj e di celebri giochi televisivi, oggi non ha certo l’intenzione di fermarsi.
Jocelyn, come sta?
“A parte un po’ di raffreddore, va tutto bene. Ho tanti progetti in ballo”.
Racconti.
“Insieme ad Alessandra stiamo facendo questo nuovo progetto su YouTube, Casa Hattab, dove ci mettiamo in gioco intrecciando la nostra vita quotidiana con viaggi, ospiti e spettacolo. Ci sono poi altri due lavori su temi più impegnati”.
Ovvero?
“Abbiamo pronto un cortometraggio sulla violenza sulle donne e stiamo preparando un documentario sull’integrazione che parla delle persone come me, che sono nate in un Paese e sono cresciute in un altro”.
Da ragazzino a Parigi qualche problema d’integrazione c’è stato.
“Non dimenticherò mai una frase che diceva sempre mio padre dopo che ci eravamo trasferiti da Tunisi a Parigi: ‘Non siamo a casa nostra, dobbiamo farci molto piccoli, dobbiamo passare tra il manifesto e il muro’. Insomma, mi chiedeva a soli undici anni di essere quasi invisibile”.
Aveva ragione?
“Sono ebreo e arabo, su di me ho sentito una doppia forma di razzismo. E di questo porto anche qualche cicatrice”.
In che senso?
“Ero ancora molto giovane quando mi sono trovato in un cinema a vedere un film western e mi hanno colpito con un coltello. Da quel momento ho imparato a stare sul chi vive perché mi sentivo in mezzo a due fuochi”.
Che famiglia era la sua?
“Il babbo, un ebreo comunista, era scultore e marmista, in particolare per i cimiteri. Durante la guerra a Tunisi era ricercato dai fascisti e lui, che era un uomo grande e grosso, si era dovuto nascondere in un intercapedine tra due palazzi insieme a mio zio, con le mogli che di tanto in tanto portavano qualcosa da mangiare. Mia madre era farmacista, ma quando ci siamo trasferiti a Parigi si è messa a fare la donna di servizio”.
Con la radio e con la musica inizia fin da giovanissimo.
“A 16 anni mi ero iscritto all’accademia dove avevano organizzato delle specie di stage per giovani speaker per l’emittente France Inter. Durante un mio turno è arrivata la breaking news dell’attentato a Kennedy. Era il 1963 e la radio era ancora il primo mezzo dì comunicazione. Per farla breve, mi sono ritrovato da solo davanti al microfono nel panico più totale perché i conduttori erano in ritardo. Ma direi che me la sono cavata”.
I suoi genitori sognavano un lavoro più classico, forse più sicuro.
“Ho fatto di tutto. Ho lavorato in banca, venduto enciclopedie, televisioni, lavandini, vasche da bagno e soprattutto automobili. E questo mi ha salvato da un momento non proprio brillante della mia vita”.
Ci spieghi meglio.
“Vendere macchine è un mestiere molto particolare. Io ero sempre disponibile, 24 ore su 24. E quindi se c’erano problemi, dalle gomme a un controllo dal meccanico bastava chiamarmi. Tutto cambia quando ho venduto una Porsche al cantante Michel Fugain che in Francia in quel momento era sulla cresta dell’onda”.
Ecco la svolta.
“Parlando del più e del meno gli racconto che avevo lavorato da ragazzo in alcuni teatri e anche in tv con i ruoli più disparati. E allora Fugain mi dice: ‘Ma che cazzo ci fai qui, vieni con me’.
Così sono partito in tour per tutto il mondo con il gruppo Michel Fugain et le Big Bazar. Il successo è stato grande, grazie a una canzone, Une belle histoire, che in Italia poi è stata fatta da Franco Califano, Un’estate fa la storia di noi due...”.
Quando torna in tv da protagonista?
“Dopo questi lunghi tour mi ero un po’ stancato e certo non mi sarebbe dispiaciuto tornare al mio vecchio amore della tv. Un giorno, passando da TeleMontecarlo, ho incontrato il mio maestro Jacques Antoine, autore di numerosi quiz show, che mi ha proposto di restare a Monaco per fare dei programmi che andassero in onda anche in Italia”.
Qui nasce il Jocelyn che tutti conoscono.
“Pensi che non avevo mai studiato l’italiano”.
E come ha fatto?
“Riversando un mucchio di film italiani per TeleMontecarlo. Dovevo controllare l’aspetto tecnico e allora me li guardavo anche. Molti erano con Franco e Ciccio che poi sarebbero diventati dei miei cari amici e un giorno, davanti alla sede della Rai in viale Mazzini, gliel’ho detto. La loro risposta: ‘Ecco perché lo parli così male’”.

A TeleMontecarlo crea e conduce Un peu d’amour... d’amitié... et beaucoup de musique (Un po’ d’amore, d’amicizia e tanta musica) dove cantanti e band andavano a promuovere i dischi.
“Un’epoca irripetibile. Facevo il produttore, il presentatore, il regista, il mixaggio e il programmatore”.
Chissà quanti incontri.
“Sono passati davvero tutti. Una volta c’era Renato Zero e insieme abbiamo portato a cena con noi Indro Montanelli”.
E cosa c’entrava Montanelli con voi?
“Anche lui lavorava a TeleMontecarlo, faceva una specie di notiziario. Renato era venuto in trasmissione per presentare Madame: aveva i capelli lunghi fino a mezza schiena e ci eravamo dipinti entrambi il volto. Nel frattempo in un angolo su una poltrona c’era Montanelli che preparava il suo editoriale e a sua insaputa è andato in diretta con noi. Alla fine ci disse ‘ma perché non andiamo a cena fuori?’. Non può capire le risate”.

All’inizio degli anni 80 viene chiamato dalla Rai per presentare il mitico Discoring.
"Esatto. E tra il pubblico c’era la mia attuale moglie. Io ovviamente non lo sapevo”.
È la terza moglie. Come vi siete conosciuti?
"A una festa di amici. Ero molto interessato al suo lavoro, in particolare negli istituti penitenziari dove si occupava della prevenzione al suicidio attraverso i giochi. Un giorno l’ho accompagnata e abbiamo cominciato anche a collaborare. E poi è nato l’amore”.

Senza dimenticare un paio di edizioni di Domenica in, in Italia ha inventato tanti giochi a premi, come Il milionario e Il grande gioco dell’oca. Oggi si parla molto della sfida tra La ruota della fortuna e Affari tuoi.
"Si contendono l’access prime time che è uno dei momenti più importanti per la tv in fatto di ascolti e pubblicità. Mia moglie non si stacca dalla Ruota dalla fortuna che ha fatto la storia del piccolo schermo in tutto il mondo”.
Nella sua lunga carriera qual è stato l’incontro che più l’ha colpita?
"Senza dubbio Leonard Bernstein con cui ho lavorato per due settimane per un documentario su Beethoven. In quel momento sono stato folgorato da un genio della musica e ho cercato di fare mio, con grande umiltà, il suo metodo di lavoro”.
Una persona che ricorda con affetto?
"Mia Martini con cui eravamo molto amici. Pensi che una volta la feci cantare mentre era in corso il Gran premio di Montecarlo perché la ritenevo molto più interessante. Dicevano che portava sfortuna, una vera crudeltà. Io dico sempre questo: non sono superstizioso perché porta male”.
Le piacerebbe tornare in tv con un programma tutto suo?
"Hai voglia! Con Alessandra pensiamo sempre a qualcosa di innovativo. Purtroppo nella tv di oggi manca la voglia di rischiare. I dirigenti preferiscono andare a pescare all’estero invece che provare qualcosa di nuovo. Per esempio mi piacerebbe fare qualcosa sul multiverso o l’intelligenza artificiale. Stiamo a vedere”.
Rimpianti?
"Di non sapere suonare bene un strumento. Tocco tutti gli strumenti, ma non uno in particolare. Come mi diceva Leonard Bernstein: ‘Tu hai un problema, ami la musica ma la musica non ti ama’”.