repubblica.it, 26 novembre 2025
Brasile, dal golpe alla possibile fuga dai domiciliari: Bolsonaro in carcere, fine di una parabola
È finita: Jair Messias Bolsonaro è ufficialmente un criminale golpista e inizia a scontare la sua condanna a 27 anni e 3 mesi. Dopo 656 giorni, si chiude forse il più importante caso politico nella storia della moderna democrazia brasiliana. Si chiude con due anni di indagini svolte nel massimo scrupolo, solide prove, la testimonianza decisiva di un pentito che aveva partecipato a tutte le fasi del complotto, ampie garanzie per gli imputati, qualche leggera sbavatura, un processo alla luce del sole seguito in diretta da milioni di cittadini. Tutti hanno avuto modo di vedere e capire cosa fosse successo dall’aprile del 2022 all’8 gennaio del 2023 quando 50mila militanti e sostenitori dell’ex presidente di estrema destra assaltarono la Spianata dei Tre Poteri a Brasilia e devastarono i palazzi della Presidenza, del Congresso, della Corte Suprema federale. Il Brasile ha difeso la sua libertà. A differenza degli Usa che hanno scelto di assolvere e liberare chi l’aveva minacciata.
Oltre all’ex capitano, ribelle fino alla fine, da giovane espulso dall’esercito per sedizione e poi incriminato da adulto per associazione criminale e tentato colpo di stato, finiscono dietro le sbarre anche i suoi più stretti sodali. Due militari di spicco: Augusto Heleno, generale di brigata dell’Esercito, ministro per la Sicurezza Istituzionale del governo Bolsonaro e Paulo Sérgio Nogueira, anche lui generale, ex comandante dell’Esercito e ministro della Difesa. Li accompagna in carcere il terzo grande protagonista del tentato golpe, l’ex comandante della Marina, l’ammiraglio Almir Garnier. Anche lui era al vertice convocato da Bolsonaro nel novembre del 2022 subito dopo le elezioni presidenziali in cui prevalse Lula, sebbene di misura. Erano presenti i capi delle tre Forze Armate.
Il leader della destra estrema non si rassegnava alla sconfitta, aveva cercato di contestare in tutti i modi i risultati. Disperato e preoccupato, chiese ai tre militari se erano disposti ad appoggiare il suo piano golpista. I capi dell’Esercito e dell’Aeronautica restarono in silenzio. Capivano che si sarebbe messa male. Quello della Marina era invece entusiasta. Non si fece scrupoli. Disse a Jair che poteva contare su di lui, che lo avrebbe coperto. Ma gli altri due, temendo il peggio, hanno negato il loro appoggio in un sussulto di “lealtà costituzionale”. È stato questo no di due delle tre Armi a far crollare il piano già studiato nei minimi dettagli.
Il giorno dell’assalto alla Spianata di Brasilia i militari avrebbe preso il potere per evitare altri disordini, sarebbe stato proclamato uno stato di emergenza nazionale sostenuto da un apposito decreto messo a punto dai consiglieri giuridici del presidente. Era previsto anche l’assassinio dello stesso Lula e del suo vice Geraldo Alckmin: il primo con del veleno, il secondo sparandogli direttamente sotto casa. Al sicuro in Florida, dal suo amico Trump, Jair Bolsonaro avrebbe atteso lo sviluppo degli eventi e sarebbe tornato in Brasile per continuare a governare assieme ai militari. Sarebbe stato a suo agio: ha sempre dichiarato simpatia per gli anni della dittatura.
Doveva morire ovviamente anche il giudice Alexandre de Moraes, l’uomo che ha salvato la democrazia quell’8 gennaio 2023. È stato lui a prendere in mano la situazione. Ha ordinato alla polizia di fronteggiare i manifestanti che erano protetti dall’esercito, ha disposto perquisizioni e arresti. Ha sventato il golpe e ha indagato per due anni trovando le prove e i testimoni disposti a parlare. È stato sempre lui, ieri, a ordinare l’arresto dei condannati e a decidere dove sconteranno le condanne inflitte.
Jair Bolsonaro resterà nel quartier generale della Polizia federale in quella che viene chiamata la “sala dello Stato Maggiore”, uno spazio che non condivide con altri detenuti e dove il comfort è maggiore rispetto a quello di una prigione. Avrà una stanza di 12 metri quadrati, dotata di televisione, aria condizionata, bagno privato e una scrivania. Moraes ha disposto che il detenuto sia tenuto sotto controllo costante e gli sarà fornita tutta l’assistenza sanitaria di cui ha bisogno. L’ex capitano ed ex presidente era già agli arresti. Sabato scorso era stato raggiunto da un ordine restrittivo perché, mentre era ai domiciliari, aveva tentato di rompere il braccialetto elettronico che gli era stato applicato dall’agosto scorso. Ha ammesso di aver tentato di bruciare il meccanismo di apertura con un saldatore elettrico. Era preso dal panico, capiva di non avere scampo. Lo attendeva il carcere. “Non ero in me”, si è giustificato, “avevo le allucinazioni. Mi mancavano le mie medicine”. Il piano era raggiungere l’ambasciata Usa nascosto in mezzo alla folla di sostenitori che sabato mattina si sarebbero radunati sotto casa sua. È arrivata prima la polizia. ?