la Repubblica, 26 novembre 2025
Musetti: “Sinner? Non sarà mai un nemico, anzi è un esempio. Un compagno che mi indica la via”
È il nuovo Zorro della racchetta. Lo vogliono così: vendicatore elegante. Il ragazzo vintage, venuto dal passato (e c’è chi dice che non lo ha mai lasciato) a punire chi sfregia e bombarda il tennis con colpi supersonici. Lorenzo Musetti, 23 anni, da Carrara, per molti è un pezzo d’arte uscito dalla cave. Rovescio a una mano, dritti rinascimentali (così scrivono). Gesti da preservare, sbracciate in guanti bianchi. Le Variazioni Goldberg in sinfonia tennistica, la sostenibile leggerezza dell’essere in un mondo di Terminator. Amato, criticato, discusso, richiesto, contrapposto, osannato. Musetti delle meraviglie. Un dandy che ti sfinisce con le sue fantasie. A volte molto sofferte. Un tatuaggio (insolito) sul braccio sinistro: il suo elettrocardiogramma unito a una racchetta. Segno che il suo cuore batte per il tennis. Numero uno del mondo da juniores (2019), semifinali a Wimbledon 2024 e al Roland Garros 2025, bronzo ai Giochi di Parigi a un secolo di distanza da Uberto de Morpurgo. Numero 9 del mondo, sesto top 10 dell’Italia, uno dei due Maestri azzurri presenti alle Atp Finals (per la prima volta). L’uomo in più del tennis azzurro, ma soprattutto quello che non sta nelle righe. Non importa che vinca o che perda, Musetti è creatività. E un baby papà in un mondo che viaggia con molto staff ma niente figli.
EMANUELA AUDISIO: È il padre più giovane tra i colleghi. Qualcuno di loro è curioso?
LORENZO MUSETTI: “Non mi fanno molte domande, tranne Alexander Bublik che ha 28 anni e un bimbo di 3. Lui è sempre affettuoso, spesso ci confrontiamo tra papà. Il primo figlio è stato un terremoto e una bella sorpresa. Non era cercato, abbiamo deciso di tenerlo, ho dovuto ripensare la mia vita. Avevo paura di non essere pronto alle novità. C’era da costruire una famiglia, cambiare casa, allargarsi, accettare le responsabilità. Non è stato semplice, mi ha creato dubbi e problematiche, ho vissuto la gravidanza di Veronica con molto travaglio. Di testa e risultati”.
EA: Cosa le ha fatto male?
LM: “Essere giudicato in maniera negativa dai tifosi, come se diventare padre significasse voltare le spalle allo sport, darsi altre priorità, sentirsi già appagati. Per me la famiglia è importante, ma anche il tennis. Diventare genitore mi ha dato una spinta in più, ciò che ho vissuto fuori mi ha fatto maturare dentro il campo. C’è un mio percorso umano che è cresciuto con quello professionale, non vedo i figli come un ostacolo. Prova ne è che Ludovico a marzo farà due anni e per me questa è stata la migliore stagione. Lunga, faticosa, ma piena di soddisfazioni. Non ci sono solo i trofei a dare felicità, anche se è chiaro che da sportivo devi organizzarti, per fortuna posso contare sui nonni. Quando viaggiamo insieme nei tornei io e Veronica, la mia compagna, dormiamo in stanze separate. Per noi atleti il sonno è fondamentale, utile per recuperare energie. Ma serve anche tornare in famiglia e vedere che Ludovico mi commuove”.
EA: Molti campioni festeggiano la paternità esultando con dito in bocca a mo’ di ciuccio. Le donne mai.
LM: “Capisco il perché. Noi maschi esultiamo, riproponiamo gesti infantili, manifestiamo così la nostra gioia, con un pensiero a chi ci aspetta a casa. Ma una sportiva che ha partorito ha sensazioni diverse, il suo corpo ha vissuto molti cambiamenti. Per loro è una scelta difficile, quasi tutte rimandano la gravidanza a fine carriera, come Flavia Pennetta e Federica Pellegrini. La stessa Serena Williams, che prima dominava, da mamma non è più riuscita a vincere un Grande Slam. Faccio molti complimenti al rientro della svizzera Belinda Bencic, campionessa olimpica a Tokyo e mamma di Bella l’anno scorso. È stata brava. Detto questo, a casa cerco di dare una mano, l’ultima lavatrice l’ho fatta prima di lasciare Montecarlo, dove viviamo. Non sono un uomo disordinato, non lascio cose in giro. E la seconda gravidanza di Veronica l’ho vissuta con più serenità”.
EA: Con quale collega uscirebbe a cena?
LM: “Con Jasmine Paolini e il suo sorriso. Ci conosciamo da tempo e abbiamo un bellissimo rapporto. È una campionessa, ho da imparare da lei, sono sicuro che verrebbe fuori una serata fantastica, piena di risate e allegria”.
EA: Cosa le piace del tennis?
LM: “Mi piace il rumore della palla. Che poi è un suono, non una cosa che disturba. Dice, racconta, ricorda. È una questione di ritmo, di orecchio, è un battito. Ero piccolo, giocavo nello scantinato della nonna, ribattevo sul muro, c’era anche mio padre, è lì che quel suono ha iniziato a parlarmi”.
EA: Alla campionessa Billie Jean King piacque così tanto il rumore della palla sull’erba di Wimbledon che chiese di poter restare sempre lì.
LM: “A me manca se per un po’ non lo sento, accompagna la mia vita. Per me è una melodia, sono cresciuto con la musica di mio papà Francesco, operaio alle cave di marmo, molto Lucio Battisti, Luciano Ligabue, gli U2. Le canzoni sono il sottofondo nelle pause e alla vigilia degli incontri. Non leggo libri, non seguo serie tv, non gioco alla playstation, mai avuta una. Sono proprio vintage. Dovessi dire un periodo nel quale mi sarebbe piaciuto vivere e giocare non avrei dubbi: anni 80-90. Sarei stato a mio agio”.
EA: Il suo colpo preferito?
LM: “Il passante di rovescio è il gesto tecnico che più mi piace. Quando riesce è come una liberazione, come un gol nel calcio, anzi come se segnasse la nostra nazionale”.
EA: Cosa invece non le garba del tennis?
LM: “Le tempeste emotive. L’alternarsi di gioie e dolori. Tutto cambia in fretta: dal bello passi al brutto, sei in cima, ti ritrovi sul fondo. Dal paradiso all’inferno. Tutto intenso, forte, feroce nello stesso modo. Cadi a un passo dall’orizzonte, basta un 15, e quello che stavi per afferrare non c’è più. Ti chiedi: perché tutto questo male? Non lo reggo, non ce la faccio, le emozioni mi scassano, entro in una spirale negativa, mi flagello, mi faccio prigioniero da solo, parlo ad alta voce, mi escono dalla bocca commenti inappropriati. Ho una sensibilità esasperata che magari viene vissuta con fastidio”.
EA: Ecco, appunto, non nominare il nome di Dio invano. Bip.
LM: “Ma io sono toscano, da noi si urla, si alza la voce, così per abitudine. Io con un certo tipo di linguaggio non voglio offendere e non vado fiero delle mie derive. Mia nonna diceva: “Chi di vizi vuol guarire preghi Dio di non averli”. Ci ho lavorato sopra, per un po’ mi sono fatto aiutare da uno psicoterapeuta, poi ho interrotto la collaborazione. Non inseguo la perfezione, non sono politicamente corretto, il mio carattere è questo. Ma non sono nemmeno uno che cerca il conflitto, anzi cerco di evitare gli scontri, con gli altri sono molto accondiscendente pur di non affrontare tensioni. Sto lavorando anche su questo”.
EA: La situazione più imbarazzante?
LM: “Me stesso. Rivedermi. Quando mi lascio andare a comportamenti che non mi appartengono. Ho emozioni, masochismi, complessità. Cosa devo dirvi? Capitemi, sto facendo sforzi, e grazie se vi ritrovate in me, nei miei alti e bassi. Invidio la continuità che hanno altri, lavoro per averla, sono migliorato, ma non sono un pezzo che esce dalla catena di montaggio. Rivendico la mia diversità, credo di piacere perché sono fuori dal coro”.
EA: Non ha mai lasciato il suo coach Simone Tartarini.
LM: “Mi ha preso che avevo 8 anni. Probabilmente siamo gli unici due al mondo che, partendo dalle scuole tennis, sono arrivati nella top-10 mondiale. Era il mio maestro, ho passato più tempo con lui che con i miei genitori, abbiamo a volte diviso lo stesso letto, quando di soldi da spendere ancora non ce n’erano. Conosce tutto di me, il bello e il brutto, la crescita umana e professionale è maturata insieme: bambino, adolescente, uomo, padre. C’è un rapporto fatto di valori e fiducia, non dimentichiamo mai da dove siamo partiti. Questo non esclude che si possano aggiungere altre figure tecniche”.
EA: Fare il modello le piace?
LM: “Molto. I vestiti, la moda, le sfilate mi affascinano. Aiutano a dare un’idea di te, credo siano una parte importante di quello che vuoi comunicare, soprattutto se te li senti bene addosso. La partnership con Bottega Veneta soddisfa questa parte di me. Nel servizio per U a Monte Carlo è scattato un feeling naturale con il team, e poi sullo sfondo delle foto c’è spesso il mare, che amo”.
EA: Un campione da conoscere?
LM: “LeBron James. Ha più di 40 anni eppure entra in campo con la stessa motivazione del primo giorno. Ha saputo durare, curare il fisico, essere personaggio anche fuori dal basket”.
EA: Ormai il tennis italiano, sempre più ai vertici, è condannato ai derby. Sinner, Berrettini, Cobolli, Sonego. Li soffre?
LM: “Quando affronti un compagno con cui magari giochi anche il doppio è sempre una partita delicata. Hai condiviso tanti momenti, lo guardi con altri occhi. Per quello è importante concentrarsi sul gioco, però no, non patisco i match fratricidi, sono capace di gestirli. Questo non significa che ne esca sempre vincente, ma si resta comunque amici”.
EA: Ha Sinner davanti. L’Italia estremizza le rivalità: Coppi e Bartali, Rivera e Mazzola, Goggia e Brignone.
LM: “’Per fortuna’ che ho Sinner, non dirò mai ‘purtroppo’. Non esiste una rivalità di quel genere, esasperare le tensioni nello sport, che ne ha tante, non serve. E poi Jannik ce l’ho a fianco. Non è un nemico che mi toglie l’aria, è un campione che indica la via. Un punto di riferimento. Diverso da me? Sicuro. Più potente, solido, costante. Ma non giudico uno svantaggio essere capitato nel suo stesso periodo. Vorrei avere un po’ delle sue qualità? Sì, nel massimo rispetto delle nostre diversità. Camminiamo su binari differenti, ma paralleli, ognuno matura con i suoi tempi, entrambi abbiamo dovuto sopportare pressioni, su di noi ci sono sempre state grandi aspettative”.
EA: Cosa dice alla nostra società il tennis?
LM: “Parla del diritto di tutti di aggrapparsi ai sogni. Ma tutto lo sport, non solo il tennis, ha un impatto grande sulla società. Offre occasioni, aiuta a costruirci. Io ero un bambino, non immaginavo il viaggio che avevo davanti e tanto meno di arrivare così in alto. Speriamo che il tennis azzurro, che in questo momento ha tanti protagonisti, possa ispirare le nuove generazioni”.
EA: Lodano le sue pennellate di rovescio, non ha mai l’impressione di essere prigioniero della voglia di bello?
LM: “Piaccio ai campioni del passato, forse si rivedono in me. Ma preferisco vivere nel presente, non in una bolla nostalgica. Sono un’altra versione del tennis che vuole esistere anche senza sparare cannonate. Ho diritto alla mia musica e al mio futuro”.