la Repubblica, 26 novembre 2025
Salvini: “La Lombardia dopo le politiche. L’Ue ostacola la pace”
Nell’anticamera dell’ufficio di Matteo Salvini c’è un trittico di un’artista contemporanea, Chiara Dynys, che s’intitola così: Nothing to lose. Niente da perdere. L’uomo che apre la porta del suo studio al Mit all’indomani delle regionali in Veneto, però, dà un’impressione diversa. Sembra considerare la sua personale tormenta alle spalle. Non è il leone ferito pronto a tutto. Venezia, gran balsamo elettorale, dopo mesi di vannaccismi e ruggini al Nord. Non si fa però in tempo a chiedergli di Luca Zaia, che trilla il telefono: è lui, il Doge uscente. «Luca, allora a prestissimo, io sono qui al ministero, fammi sapere quando atterri». Faccia a faccia alle viste.
Ministro Salvini, il successo della Lega in Veneto è una vittoria sua. E di Zaia. Cambierà gli equilibri in maggioranza?
«Ma no, per noi i patti restano validi. Il Veneto è un successo figlio della generosità della coalizione. Alle Europee il primo partito era un altro, la proporzione tra Lega e FdI era all’inverso. Noi abbiamo messo a frutto una classe dirigente capace con ben 161 sindaci. Abbiamo scelto uno di loro, Alberto Stefani, un 32enne, che ora sarà il più giovane governatore d’Italia. Ha vinto la squadra».
Accordi da rispettare. Dunque ora la Lombardia andrà a FdI?
«Si vota fra più di due anni, è prematuro parlarne adesso. Non ci sono veti, non abbiamo preclusioni se gli alleati vorranno suggerire un’indicazione. L’accordo con FdI prevede che il candidato sia espresso dal partito che prende più voti. Se la Lombardia andrà al voto a scadenza naturale, vedremo alle politiche quale sarà il partito più forte».
Non crede che per il Pirellone si voterà in anticipo?
«Noi stiamo lavorando per votare a scadenza naturale, non prevedo il futuro».
Zaia che farà, con le sue 203mila preferenze?
«Lo vedrò e ne parlerò con lui. Ha ottenuto un grande risultato. Vedremo se vuole restare in Regione, in primavera c’è l’elezione del sindaco di Venezia. C’è l’uninominale che lascerà Stefani».
Al Nord un pezzo della Lega chiede uno spacchettamento del partito, modello Cdu-Csu. Le va bene?
«Sono disponibile a ragionare con tutti, ma ho la testa alle politiche del ‘27, non mi metto a riorganizzare il partito a meno di un anno e mezzo dal voto».
Vannacci è percepito da molti come un fastidio, per le sue sortite.
«Io mi ricordo le uscite di Gentilini o di Borghezio! È uno della squadra, l’ho scelto come vicesegretario al pari di Stefani. A tutti i miei dico sempre: lavorare tanto, parlare poco».
Alle politiche del ‘27, Meloni sarà candidata premier della coalizione?
«Sta facendo molto bene il premier, spero continui».
E Salvini che vuole fare da grande? Tornare al Viminale?
«Ora penso solo al mio incarico attuale al Mit. Dopo il voto ne riparleremo».
È vero che per le politiche pensa a una modifica del simbolo?
«Abbiamo diverse proposte per modernizzarlo. Visto che sarà Meloni la candidata premier, sarebbe curioso tenere la scritta “Salvini premier”. Alberto da Giussano invece resterà».
Legge elettorale. Preferisce tenere i collegi uninominali?
«È una delle cose che mi appassiona di meno nella vita. Va garantito che chi vince, governi. E vanno coinvolte le opposizioni. Su maggioritario e proporzionale sono neutrale. L’importante è rinsaldare il legame dell’eletto con il territorio».
Sul Ponte sullo Stretto va avanti nonostante le obiezioni dei giudici? Quando partono i cantieri?
«Sono ansioso di leggere i punti critici dal punto di vista delle Corte dei conti. Se le nostre deduzioni saranno recepite, partiremo a febbraio. Altrimenti inizieremo per giugno. Comunque si parte».
L’avvio dei cantieri l’ha annunciato più volte ma è sempre slittato. Tutta colpa dei magistrati?
«No, no. La Corte dei conti è arrivata alla fine, prima l’Europa ci ha chiesto supplementi di informazioni e anche le indagini ambientali hanno richiesto qualche mese in più. Sono determinato: oggi è venuto a trovarmi l’ambasciatore cinese e la prima cosa che mi ha chiesto è proprio la situazione del ponte. Certo, è complicato spiegargli della Corte dei conti, lì in Cina hanno la filiera più corta».
Dalla Cina spostiamoci in Russia e Ucraina. Il piano Usa lo condivide così com’è?
«È notevole, ambizioso, anche se qualcuno lo deride. Ma gli unici due che devono darne un giudizio sono le parti in conflitto, Putin e Zelensky. Spero che nessuno si metta di traverso».
Sarebbe sempre l’Ue a mettersi di traverso, perché ha presentato un contro-piano?
«Sì. Lavoriamo sulla bozza di Trump, condivido le parole della presidente del Consiglio».
Per molti il piano originale era una resa.
«Facciamolo decidere agli ucraini, se Zelensky per primo ci sta lavorando… L’impressione è che qualcuno a Parigi e Berlino abbia problemi interni e voglia proseguire la guerra, magari per vendere armi».
Voterà per rinnovare gli aiuti militari a Kiev?
«L’abbiamo sempre fatto, ma il tema corruzione non può essere ignorato. Vogliamo vederci chiaro prima di muoverci. Se ci sarà l’accordo di pace, poi, il tema non si pone. Se finisce il conflitto ho già una lista di centinaia imprenditori che vogliono andare in Ucraina per la ricostruzione e in Russia per riaprire i canali commerciali».
Cosa pensa davvero di Zelensky?
«Non l’ho mai incontrato, non do giudizi su una persona che non conosco».
E di Putin?
«L’ho visto due volte nella vita, anche qui non posso dare giudizi su chi non conosco. Spero che entrambi accettino la proposta di pace di Trump».
Quando andrà da Trump?
«Il viaggio in Usa era previsto per dicembre, ma mi hanno fissato il processo in Cassazione su Open arms. Ci andrò dopo le Olimpiadi».
Perché il centrodestra, a partire dalla Lega, sta rallentando il ddl sugli stupri? C’era un accordo bipartisan.
«Vanno bloccati i ripetuti e intollerabili episodi di violenza, sacrosanto, ma bisogna lasciare meno spazio possibile alla discrezionalità. Ho letto la norma: consenso attuale e libero… Bisogna evitare di esporre chiunque, uomo o donna, a chi si vuole vendicare di un rapporto finito male».