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 2025  novembre 25 Martedì calendario

Nel 1923 Tranquilli si ribattezzò Silone

La prima volta in cui Ignazio Silone guida una rivolta di contadini, con conseguente arresto, ha quindici anni e sembra uscito dalle pagine di Germinal. È il 1915 e si chiama ancora Secondino (Dino) Tranquilli, nome che conserverà fino agli anni Sessanta, quando lo abbandonerà legalmente. Socialista appassionato, nel 1921 è tra i fondatori del Partito comunista d’Italia, dal quale sarà espulso nel 1931 per la sua opposizione alla linea staliniana. I fatti della sua giovinezza non sono ancora del tutto indagati, sappiamo per esempio che nel 1923 si trasferisce a Berlino con la militante comunista di origine ebraica Margarete (Gabriella) Seidenfeld, che fino ai recenti studi dello storico Giulio Napoleone, si riteneva vivesse more uxorio; in realtà i due si sposano nella sinagoga di Fiume, in un rito privo di valore civile che rimane nell’ombra e non impedisce, oltre vent’anni dopo, il matrimonio ufficiale del 1944 con la giornalista irlandese e antifascista Darina Laracy.
A Berlino Dino riceve un incarico dall’Internazionale giovanile comunista e, divenuto funzionario del Comintern, a maggio è inviato a Madrid come «delegato dei Soviet». L’obiettivo è dare impulso ai rapporti economici tra Spagna e Russia leninista, nonché precettare intellettuali e lavoratori in iniziative parapolitiche. In Spagna trova terreno fertile ed entra rapidamente in contatto con l’élite culturale della capitale, tra cui il circolo di José Ortega y Gasset, Alfonso Builla y Bonet, Margherita Nelken e i membri della Lega spagnola dei diritti dell’uomo. Il suo attivismo nei circoli culturali e operai, dove illustra in italiano i benefici della rivoluzione, attira presto l’at-tenzione e la diffidenza della stampa conservatrice, che segnala al governo l’«agente bolscevico». Joaquín Maurín, protagonista del movimento operaio spagnolo e contatto di Tranquilli a Barcellona, lo descrive come un giovane alto e magro, d’indole timida e riflessiva, inviato dal Comintern per organizzare il Soccorso operaio internazionale (Soi) e collaboratore di più pubblicazioni comuniste in vari paesi.
A Madrid, difatti, Tranquilli è referente del Soi (con tanto di nome sulla carta intestata) la potente macchina promozionale ideata da Willi Münzenberg, in grado di elevare la propaganda a una moderna arte della persuasione. Già nel 1921 per le carestie del Volga, Münzenberg intuisce che la chiave per smuovere le coscienze borghesi è sostituire il linguaggio della «carità» con quello della «solidarietà», trasformandolo in un principio morale e politico capace di attrarre scrittori, artisti e accademici, molti dei quali, pur estranei al partito, esprimono aperta simpatia e sostegno alla causa (comunista).
Grazie al comitato madrileno Tranquilli ha modo di conoscere anche le redazioni progressiste, fra cui quella del quotidiano “La Opinión” diretto da Antonio López Baeza, molto vicino al mondo operaio. Il giornale è il principale megafono della raccolta fondi per gli affamati tedeschi e per tutto dicembre aggiorna i lettori con interventi di cronaca e sollecitazioni. A fine mese, però, l’attività del comitato sembra azzittirsi, intanto Tranquilli è fermato a Madrid poiché durante una perquisizione la polizia trova una quantità ritenuta rilevante di carte riconducibili all’attività comunista. È espulso senza processo e scortato a Barcellona il 18 gennaio.
Lì, incarcerato, riesce nondimeno a collaborare con la rivista “La Batalla”, per cui firma l’editoriale del 22 febbraio 1924 come «Hipólito Silone» (Ippolito in omaggio al mentore Francesco Ippoliti), considerato nella letteratura siloniana il primo scritto in cui compare lo pseudonimo celebre con Fontamara. Lo stesso autore, cinquant’anni più tardi, commenterà nel libro autobiografico Pane di casa i motivi di quella scelta: «Me ne servii la prima volta nel 1923, trovandomi detenuto nel carcere di Barcellona. Con quel nome firmavo gli articoli che mi riusciva di far pervenire segretamente al settimanale “La Batalla”. Il nome di Silone mi fu occasionalmente suggerito da due fonti: esso ricordava il capo della resistenza dei Marsi, Poppedius Silo, nella guerra sociale contro Roma, ed era quindi simbolo di opposizione. Per un’illazione un po’ forzata, poteva significare anche per l’opposizione catalana contro Madrid, in armonia con la mia missione segreta in servizio. Quando, molti anni più tardi, scelsi questo nome per uso letterario, l’accompagnai col nome d’Ignazio, al fine di battezzare il cognome pagano».
Silone, pur preciso nel ricordare l’anno del suo “battesimo”, il 1923, lo associa all’esperienza detentiva dell’anno successivo. Il dubbio vi sia un errore diventa una certezza quando, durante una ricerca di approfondimento sul Soi a Madrid, mi è capitato di ritrovare un’intervista, uscita su “La Opinión” il 19 dicembre del 1923 con il titolo “La ayuda a la infancia alemana”, finora sconosciuta. Il colloquio con Hanna Dörfel, una funzionaria dell’organizzazione di stanza a Berlino e referente per le campagne internazionali, propone un’altra storia: il resoconto, scarno nelle domande per lasciar spazio a risposte sintetiche ma precise, è sottoscritto al piede «P. Silone» (Poppedius) e vuole rilanciare l’appello alla liberalità spagnola in vista del Natale a favore dei bambini tedeschi. Il pezzo si chiude con una vampata retorica: «Sapranno le madri spagnole – domanda l’autore – rispondere al generoso appello di questa donna, modello di filantropia? Vedremo le città di Spagna contribuire a questa grande opera misericordiosa?». Cosa più importante, l’articolo anticipa il «primo siloniano» e sposta il fulcro dell’azione dal carcere di Barcellona alle più tranquille redazioni dei giornali e dei comitati di soccorso del Soi a Madrid. Probabilmente, però, lo scrittore abruzzese preferisce glissare sulle contiguità con gli uffici di Münzenberg o ritiene che la prigione ammanti di più efficace eroismo la scelta di un nome d’arte, ma soprattutto di battaglia: d’altronde, pur giunto a Parigi dalla Spagna il 29 febbraio 1924, il giorno dopo esce su “L’Humanité” un pezzo firmato «I. Silone. Dalle carceri di Barcellona».