repubblica.it, 25 novembre 2025
Cecilia Parodi condannata per gli insulti a Segre: “Ancor più riprovevole per la persona scelta”
Parole verso Liliana Segre connotate da un “significato di odio e di disprezzo” più “riprovevole rispetto all’utilizzo degli stessi termini in relazione ad un qualsiasi altro individuo”, perché vengono “rivolte nei confronti di una persona la cui stessa esistenza e sopravvivenza è stata ostacolata e messa in pericolo” solamente “a causa dell’appartenenza ad una specifica comunità religiosa”. Con queste motivazioni il gup di Milano Luca Milani lo scorso 13 ottobre, ha condannato ad un anno e 6 mesi la scrittrice e attivista Cecilia Parodi che attaccando la senatrice a vita per le sue parole sull’uso del termine “genocidio” riferito alla guerra in corso a Gaza.
Nelle motivazioni della sentenza pubblicate in questi giorni il giudice accusa Parodi di aver fatto “propaganda di idee fondate sulla superiorità o sull’odio razziale” e per diffamazione aggravata dall’odio razziale. Parodi è finita a processo imputata a seguito della denuncia presentata da Vincenzo Saponara, uno dei legali della presidente della Commissione parlamentare contro l’istigazione all’odio razziale, così come è successo negli anni scorsi ad altri haters che hanno fatto parte del coro di persone che sui social aggrediscono quella che è fra le molte altre cose una delle ultime sopravvissute alla Shoah.
Il processo con rito abbreviato vedeva al centro un video shock, pubblicato su Instagram nel luglio 2024, nel quale Parodi aveva affermato, tra le altre cose, “odio tutti gli ebrei”, oltre a frasi antisemite contro la sopravvissuta alla Shoah. La blogger aveva usato frasi gravemente offensive contro Segre, scatenando un’onda di reazioni e commenti antisemiti. Interrogata dai magistrati Parodi aveva spiegato “di essere particolarmente sensibile alla causa palestinese in quanto avrebbe prestato assistenza ai bambini vittime di violenza e seguito le vicissitudini che hanno caratterizzato il popolo palestinese”.
Si era anche poi giustificata dicendo che non era sua intenzione “offendere né incitare all’odio contro la senatrice né nei confronti della popolazione ebraica” ma che era “rimasta colpita dalla posizione assunta da Segre in seguito alle operazioni militari a Gaza secondo la senatrice non definibili come genocidio”. Ma il giudice nelle motivazioni replica: “La condotta dell’imputata si rivela del tutto sproporzionata rispetto al contesto di riferimento, manifestando un ingiustificabile intento di ledere l’altrui onore e reputazione con espressioni denigratorie e umilianti, che trascendono qualsiasi continenza espressiva, verbale, che fuoriescono dall’ambito del diritto di critica”. E aggiunge come “la condotta diffamatoria sia posta in essere per finalità di odio etnico e religioso”.
Il giudice chiarisce che le frasi al centro delle imputazioni “devono essere contestualizzate in relazione al soggetto destinatario”. Segre è “una dei sopravvissuti allo sterminio degli ebrei” ed ha assunto “nell’immaginario collettivo il ruolo di voce autorevole” sulle tematiche dell’Olocausto, tanto da essere stata nominata “senatrice a vita dal Presidente della Repubblica”. E c’è da tenere conto, poi, si legge ancora, che la “diffusione sui social” di quei messaggi denigratori può “scatenare reazioni e commenti di utenti, purtroppo numerosi” che, “nascondendosi dietro a una tastiera, negano la tragedia dell’Olocausto” e manifestano “sentimenti di odio e discriminazione nei confronti degli ebrei”.
Con la sentenza sono state disposte provvisionali di risarcimento danni per le parti civili: 10mila euro a carico di Parodi e a favore di Segre, 5mila euro a favore di The International Association of Jewish Lawyers and Jurists e 500 euro per il suo presidente, assistiti dal legale Luigi Florio, e altri 5mila euro per l’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, con l’avvocato Tommaso Levi.