repubblica.it, 25 novembre 2025
Ci sono sei miliardi di utenti Internet nel mondo. Troppo pochi
Qualche giorno fa, il 18 novembre, un bel pezzo di Internet è venuto giù. Cloudflare, un servizio che consente di navigare più velocemente e in sicurezza i siti web, ha registrato una serie di malfunzionamenti che hanno reso inaccessibili, in gran parte del mondo, applicazioni come X, Spotify, ChatGpt e altri strumenti di OpenAI. In realtà l’elenco è molto più lungo: secondo diverse stime, infatti, Cloudflare fa girare circa un quinto di tutti i siti del pianeta.
Per diverse ore, dunque, molte aziende sono rimaste bloccate con conseguenti danni economici, non ancora quantificati. Quello che invece è certo è che per l’ennesima volta c’è stata la dimostrazione che l’economia mondiale, senza la Rete, si blocca. Totalmente, o quasi.
L’episodio di Cloudflare dà ancora più importanza ai dati appena rilasciati dall’Itu, l’International Telecommunications Union, l’agenzia delle Nazioni Unite che, oltre a stabilire standard tecnologici internazionali, promuove la connettività universale e i servizi digitali.
Ogni anno l’Itu realizza un rapporto a livello globale, una sorta di censimento delle persone connesse in tutto il mondo. Nel 2025 sono 6 miliardi, circa tre quarti della popolazione. Un dato che, sebbene possa sembrare molto alto, lancia anche un allarme. Perché questa fotografia ci dice che circa 2,2 miliardi di persone sono al momento scollegate da Internet. E, poiché non stiamo parlando di individui che lo fanno per scelta, significa che un quarto degli abitanti della Terra non è in grado di accedere al principale strumento di crescita economica degli ultimi 30 anni.
“In un mondo in cui le tecnologie digitali sono essenziali per gran parte della vita quotidiana, tutti dovrebbero avere l’opportunità di beneficiare di essere online”, ha commentato la Segretaria Generale dell’Itu Doreen Bogdan-Martin. “Questo rapporto evidenzia come le divisioni digitali odierne siano definite da velocità, affidabilità, accessibilità economica e competenze, tutte cose a cui dobbiamo dare priorità”.
“Dobbiamo dare priorità”. Sì, perché le differenze sono notevoli. E le conseguenze preoccupanti.
Partiamo dalle differenze. Il 94% delle persone che abita nei Paesi ad alto reddito utilizza Internet, contro il solo 23% di quelli a basso reddito; il 96% di coloro che vive offline si trova in Paesi a basso e medio reddito; l’85% nelle aree urbane è online contro il 58% delle aree rurali; e poi c’è una disuguaglianza di genere, anche se negli ultimi anni si è fortunatamente ridotta: il 77% degli uomini è connesso rispetto al 71% delle donne.
Questi dati devono essere presi in seria considerazione dai governi e dalle organizzazioni internazionali, Onu, ma non solo. Perché la storia dell’economia digitale ci dice che da una parte le tecnologie offrono delle straordinarie opportunità di crescita e di sviluppo economico e sociale; ma, dall’altra parte, la loro presenza (o assenza) può aumentare le distanze tra le varie fasce della popolazione, favorendo chi ha un facile accesso alla Rete, in sostanza arricchendo i più ricchi e impoverendo i più poveri. Una dinamica che non può che accelerare, cioè peggiorare, con la diffusione delle applicazioni di intelligenza artificiale.
In una recente analisi dell’Ispi, Istituto per gli Studi di Politica Internazionale, c’è una sintesi degli effetti di una mancata distribuzione capillare di Internet: “Gli impatti di queste disparità sono profondi. Da un punto di vista sociale, bassi livelli di formazione digitale possono portare a minori opportunità di lavoro e carriera. In ambito sanitario, in assenza di servizi digitali i pazienti in aree rurali e nei Paesi in via di sviluppo rischiano di essere esclusi dalle cure di base. Una limitata digitalizzazione può frenare la crescita economica: un aumento del 10% nella diffusione della banda larga mobile può infatti essere associato a un incremento del Pil pro-capite dell’1,5-1,6%. Una minor adozione delle tecnologie digitali può anche ostacolare l’inclusione finanziaria e limitare l’accesso al credito per gli imprenditori, riducendo al contempo gli investimenti esteri fino all’8%. Infine, le disuguaglianze digitali possono avere significative implicazioni politiche, da una minor partecipazione civica a possibili interferenze nei processi democratici”.
Anche se colpiscono soprattutto alcune zone della Terra, i problemi di cui stiamo parlando riguardano tutti. Abbiamo infatti visto negli ultimi decenni come le migrazioni di diversa natura (economica, climatica, umanitaria) non possono essere più fermate, ma semmai gestite. E non c’è dubbio che stiamo assistendo anche a una migrazione di origine tecnologica, sottoinsieme di quella economica. Un paradosso per una invenzione, Internet, la cui principale promessa è sempre stata quella di essere accessibile da ogni luogo del pianeta.