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 2025  novembre 25 Martedì calendario

“Meno dazi? Via le norme tech”. Il diktat americano a Bruxelles

Quattro mesi dopo la stretta di mano tra Donald Trump e Ursula von der Leyen, ambiguità e nodi dell’accordo commerciale “quadro” chiuso dai due leader vengono al pettine. Da un lato l’Europa che chiede maggiori “sconti” sui dazi per acciaio, alluminio e derivati, alcolici, alimentari e attrezzature mediche. Dall’altro gli Stati Uniti che, prima di discuterne, vogliono che Bruxelles attui la sua parte dell’intesa e rispolverano un vecchio cavallo di battaglia: la revisione (al ribasso) delle norme Ue sul digitale.
La lettera dell’accordo, vaga, autorizza interpretazioni contrastanti, emerse negli incontri a Bruxelles tra il commissario al Commercio Sefcovic e i due negoziatori americani Jamieson Greer e Howard Lutnick. Gli Stati Uniti ritengono di aver rispettato i loro impegni, fissando la tariffa base sui beni europei al 15%, abbassando allo stesso livello le barriere sulle auto ed esentando prodotti come motori aerei e farmaci generici. D’altra parte però, a stretta di mano già avvenuta, hanno deciso di applicare le maxi tariffe al 50% su acciaio e alluminio anche a una lunga serie di prodotti derivati. Quanto all’Europa, il suo impegno di azzerare i dazi sui beni industriali e agricoli Usa non è ancora attuato: la misura è stata proposta dalla Commissione, ma richiede l’ok di Consiglio ed Europarlamento, che vuole migliorare i termini.
«Prima di procedere su altro bisogna attuare l’accordo», ha avvertito Greer, rappresentante per il Commercio Usa. Nell’incontro con gli americani Sefcovic ha cercato di mostrare loro che l’Europa sta procedendo: oltre ad aver avviato l’iter per l’azzeramento dei dazi, che il commissario si è impegnato ad accelerare, ha spiegato che gli acquisti di idrocarburi dagli States quest’anno sono già arrivati a 200 miliardi (su 750 promessi entro il 2028), che si tratta per comprare chip per 40 miliardi e che gli investimenti europei oltre Atlantico sono aumentati di 145 miliardi. Sperava forse che questo lo aiutasse a spuntare qualcosa sull’acciaio, la sua priorità: liberare i prodotti derivati dal dazio del 50% e poi iniziare a negoziare quel sistema di quote di cui si fa cenno nell’accordo. Ma Lutnick e Greer hanno già posto una condizione necessaria, cioè che l’Europa renda le norme digitali «più equilibrate». È un vecchio pallino di Trump, secondo cui quelle leggi discriminano Big Tech. Su cui l’Europa ha fatto sempre muro, ieri una volta in più, spiegando che le sue norme valgono per tutti e non sono negoziabili.
Bisogna ora capire quanto l’Europarlamento tirerà la corda per migliorare un’intesa che a molti è apparsa una capitolazione. Con il rischio che si spezzi. «Che l’accordo non ci piaccia è evidente, ma non vogliamo metterlo a rischio», dice Brando Benifei, eurodeputato Pd e coordinatore per il Commercio del gruppo dei socialisti. «Prima di azzerare le tariffe su prodotti industriali e agricoli vogliamo vedere da parte americana passi avanti, a cominciare dall’acciaio. Proporremo anche di fissare una data di scadenza dell’intesa, perché senza strumenti di controllo ci consegneremmo all’imprevedibilità di Trump».
Il voto finale a Strasburgo è previsto a febbraio. Ma fino a che punto gli americani accetteranno condizioni “ulteriori”? Potrebbero anche mandare giù un limite temporale, ma sarà assai più difficile discutere sull’acciaio, visto che Trump ne ha fatto una bandiera, così come sull’esenzione dai dazi per alcolici, alimentari e macchinari industriali, partita per cui il governo italiano si è molto speso. Restano nel limbo anche i nostri pastai, su cui pende una maxi tariffa “punitiva” per presunto dumping.