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 2025  novembre 25 Martedì calendario

La corsa dell’Italia per ritagliarsi un ruolo al tavolo negoziale

C’è un obiettivo politico e diplomatico su cui è concentrato il governo italiano. È frutto di riflessioni informali che attraversano Palazzo Chigi e la Farnesina. E che orienta le mosse di Giorgia Meloni e Antonio Tajani. Si può sintetizzare così: se mai un tavolo diplomatico di pace dovesse realmente partire, Roma dovrebbe fare di tutto per farne parte. Sarebbe un risultato da spendere dentro e fuori dai confini nazionali. L’alternativa, vale a dire restare fuori da quella mediazione, avrebbe un effetto uguale e contrario: un brutto colpo da evitare.
Un passo indietro, necessario. Da qualche tempo, Roma riscontra alcune difficoltà con i tre big europei, quelli del formato E3: Francia, Germania e Regno Unito. È una dinamica emersa con maggiore intensità nei giorni del G20 di Johannesburg. Una storia fatta di piccoli sgarbi o disattenzioni, più o meno casuali. E di reazioni. Gli E3 che annunciano un paio di riunioni ristrette, senza l’Italia. Il tentativo di “dimenticare” Roma dal vertice di Ginevra, fallito grazie al rapporto tra la premier e la Casa Bianca. La stesura di un contro-piano informale che la Reuters attribuisce proprio alle tre capitali e che gli italiani derubricano a una delle mille bozze esistenti. E poi la telefonata di Meloni a Trump, significativamente organizzata assieme al finlandese Alexander Stubb, compagno di golf del tycoon. Vista la delicatezza del momento politico e diplomatico legato alla crisi ucraina, la presidente del Consiglio ha ridimensionato l’altro ieri al termine del G20: «Questa è una fase molto delicata. E considero infantile questo lavoro di fare la conta di chi c’è o non c’è ogni volta che qualcuno si parla. Diventa poi addirittura pericoloso se dovesse contagiare i leader. Noi leader abbiamo i nostri numeri, abbiamo le chat. Ci sono diversi formati con cui parliamo di tutto. Non costruiamo racconti politici del genere».
Queste premesse aiutano a comprendere i prossimi passi. È evidente che il processo di pace è appeso a molte incognite. Ma se davvero un tavolo dovesse nascere, l’Italia proverebbe a farne parte. Oltre a Stati Uniti, Russia e Ucraina, anche i tre big europei saranno quasi certamente della partita. Il ruolo assunto anche nelle ultime ore da Erdogan fa ipotizzare la presenza della Turchia, perché potrebbe ospitare i colloqui. Roma punta a essere la quarta gamba europea presente, anche perché difficilmente Mosca accetterà una rappresentanza istituzionale dell’Unione europea. Grazie a Trump, un ruolo potrebbe averlo anche la Finlandia per gli scandinavi. E la Polonia, se dovesse valere la solidità ormai ventennale del rapporto con Washington.
Tocca a Meloni provare a sfruttare il rapporto con Trump per strappare questo risultato. In questa chiave, e per difendere un ruolo della Nato in cui gli americani guidano il processo del patto difensivo, la diplomazia di Palazzo Chigi lavora per evitare che il progetto dei “volenterosi” anglo-francesi diventi sostitutivo dell’Alleanza atlantica. Anche se l’argomento utilizzato proprio dagli E3 contro l’atteggiamento di Meloni, trapela da fonti europee, è proprio quello di contribuire poco allo sforzo bellico in Ucraina: niente Purl, per ora, e un’eccessiva adesione alle posizioni trumpiane.
È però esattamente quello che la premier rivendica. Lo ha fatto anche ieri, durante il vertice dei ventisette in Angola. Non possiamo perdere gli Stati Uniti, né dare argomenti alla Casa Bianca per sfilarsi, semmai l’obiettivo è svelare il bluff di Putin. Sia Meloni, che Tajani con Rubio, hanno esposto le priorità italiane, che coincidono con quelle europee, a partire dalla difesa del principio dell’integrità territoriale ucraina (tradotto, grande cautela nell’immaginare cessioni territoriali in Donbass, ma anche nel riconoscimento ufficiale delle aree conquistate con le armi). Quanto all’articolo 5 e alle garanzie di sicurezza, è il punto su cui Roma intende rivendicare il suo contributo. Anche per agevolare la sua presenza al tavolo.